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Scuola

Superamento del Disagio Giovanile nella Scuola dell’Alfabetizzazione Emotiva e della Creatività

Il panorama giovanile della società odierna è svuotato dal di dentro.
Nessun sogno, nessuna speranza, nessuna attesa sono in grado di colmare questo vuoto.
La visione del futuro si presenta minacciosa, oscura, angosciante; di conseguenza i giovani preferiscono vivere in un apparente eterno presente che si concretizza nella cultura totalizzante del consumo quotidiano di oggetti e persone.
In una società edonistica e nevrotica, come quella attuale, si intrecciano e si incrociano i loro vissuti esperienziali, si appagano i loro desideri di avere tutto e subito, dell’apparire finalizzato ad allontanare da loro l’ansia di essere obliati dallo sguardo vacuo dell’altro.
Oltre a quello consumistico, non vi sono altri valori ai quali i giovani di oggi trovano un significato aggrapparsi; di qui un senso di disorientamento o, come sostiene lo studioso Umberto Galimberti, di un disagio che ha le sue radici nella morte della cultura occidentale e nell’avvento di un atteggiamento nichilistico.
In passato i vecchi valori del matrimonio, della religione, della casa, della famiglia fungevano da saldo legame della persona col suo presente in vista di un miglioramento futuro.
L’unione di progetti di vita personali e del patrimonio culturale trasmesso attraverso il processo di socializzazione rendevano sensata e fiduciosa l’attesa del futuro.
La drastica rottura con il proprio passato, se per alcuni versi ha determinato un passo in avanti, grazie al superamento di posizioni anacronistiche ed intolleranti nei confronti di culture e religioni diverse da quelle del proprio ambiente di vita, non è stata compensata da altri valori fuorché dal benessere materiale ed economico, dalla mercificazione dell’uomo e dei rapporti sociali, dalla mancanza di considerazione nei riguardi dei giovani che, vivendo immersi in un contesto sociale che svaluta completamente le loro capacità e potenzialità, proprio in quanto non viene attribuito più alcun ruolo costruttivo e migliorativo al futuro, vivono per l’oggi, l’attimo che fugge.
La loro idea di futuro si sposa con quella di precarietà, di angoscia, di pericolo imminente di perdere ciò che si ha qui ed ora, di enigma esistenziale.
La scuola testimonia chiaramente la visione scettica del futuro che non lascia valorizzare adeguatamente le potenzialità e le energie emotive e psichiche dei ragazzi.
Divenuta da tempo la dimora di un pessimismo pedagogico latente, impone ai suoi allievi di vivere nella condizione perenne di parcheggiati in uno stato cronicizzato di inerzia e demotivazione per attività e programmi scolastici e di riottosità nell’instaurare relazioni costruttive e genuine con insegnanti e compagni di scuola.
Secondo Galimberti non si viene più a determinare nell’adolescente « quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull’amore di sé) alla libido oggettuale che investe sugli altri e sul mondo. Senza questo passaggio si corre il rischio di indurre gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che ci si salva da soli, con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali»[1].
In questo continuo e parossistico vivere l’attimo e fuggire il futuro, i giovani non hanno il tempo di ripiegare su se stessi, di indagare nel profondo di sé, di interrogarsi su quello che veramente vorrebbero essere o sono indotti ad essere.
E’ il conosci te stesso di socratica memoria l’obiettivo a cui attualmente la scuola deve mirare, focalizzando la sua programmazione prioritariamente sull’alfabetizzazione emotiva.
Ciò richiede da parte degli insegnanti capacità di leggere le emozioni dei loro giovani allievi, riuscendo ad incanalarle in interessi e progetti da questi ultimi manifestati nel corso del dialogo pedagogico, ove l’allievo si senta pienamente riconosciuto per quello che realmente è nei suoi limiti e possibilità..
Solo dopo il riconoscimento da parte dell’altro, può sorgere negli adolescenti l’autoaccettazione e la fiducia in sé che portano alla costruzione della propria identità.
La consapevolezza di essere riconosciuti ed accettati è come un seme che rende fertile il terreno della buona volontà ad impegnarsi e ad apprendere i contenuti disciplinari.
«Se non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva, l’incuria dell’emotività è il massimo rischio che ogni studente, andando a scuola, corre. E non è un rischio da poco perché se è vero che la scuola è l’esperienza più alta in cui si offrono modelli di secoli di cultura, se questi modelli restano contenuti della ente, senza diventare spunti formativi del cuore, il cuore comincerà a vagare senza orizzonte, in quel http:\\/\\/psicolab.neta inquieto e depresso che nemmeno il baccano della musica giovanile riesce a mascherare…Il sapere trasmesso a scuola non deve comprimere questa forza, ma porsi al suo servizio per consentirle un’espressione più articolata in termini di scenari, progetti, investimenti, interessi»[2].
Bisogna allora dare spazio a tutti quelle componenti pedagogiche finora trascurate dalla didattica, quali per esempio la creatività che richiede l’esplicarsi di un pensiero flessibile, pertinente, fluido e flessibile allo stesso tempo.
Secondo la psicologa A. Oliverio Ferraris, l’apprendimento di un pensiero creativo può tuttavia emergere solo dall’interazione di tre ingredienti:
« L’individuo con le sue potenzialità e le sue abilità;
   Il bagaglio di conoscenze, di cultura e di pratica che l’individuo si è fatto negli anni formativi, in un clima in cui vi era spazio per l’iniziativa, l’esploratività, la sperimentazione, l’approfondimento, la riflessione;
   L’ambiente, ossia quell’insieme di persone, istituzioni educative e culturali che forniscono stimoli, opportunità, apprendimenti, riconoscimenti che sono alla base di una società intellettualmente vivace, aperta alle novità»[3].
Si comprende allora come il lavoro di pedagogisti ed insegnanti si presenti arduo, lungo e coraggioso dal momento che l’ambiente attuale non offre alcuno stimolo al pensiero libero e genuino perché il pensiero giovanile è vittima precoce di un deturpamento operato dalla logica utilitaristica e consumistica.
Per lo studioso D. De Masi, solo lo sviluppo creativo può garantire il miglioramento del singolo e dunque di un intero paese, poiché «nessun uomo è un’isola: siamo un sistema integrato in cui ogni parte incide positivamente o negativamente sul tutto»[4].
Secondo il medesimo, la scuola deve essere il luogo dove i giovani possano fare esperienza di ciò che egli definisce “ozio creativo” e che consiste «nella capacità di non separare più il lavoro dallo studio e dal gioco, come si faceva purtroppo nella società industriale (della quale abbiamo purtroppo estremizzato l’adozione della logica del profitto), ma di unire queste tre cose, ovvero di riuscire a lavorare per produrre ricchezza e, contemporaneamente, studiare per produrre conoscenza e giocare per produrre allegria», in una programmazione didattica che veda la fusione di dimensione emotiva e dimensione razionale.
Per far sì che la creatività costituisca un elemento costruttivo nella realizzazione di progetti ed obiettivi, occorre che all’apprendimento della stessa si affianchi quello di saggezza ed equilibrio consistente «nel dare il giusto valore e un giusto ordine alle cose, considerando importanti le cose veramente importanti e secondarie le cose realmente secondarie….»[5].
Si tratta di rovesciare lo stile di vita moderno fatto di frenesia routinaria e ingabbiato nella rigidità sequenziale del dovere lavorativo.
«In molte famiglie moderne, marito e moglie lavorano entrambi ed hanno lo stesso ritmo di vita, illudendosi che la carriera sia la cosa più importante al punto da trascurare le persone (il coniuge, i figli, gli amici) dalle quali potrebbero trarre maggiore felicità. Ma quello del lavoro e della carriera, collocati al primo posto nella gerarchia dell’esistenza, è un falso valore, una mancanza di saggezza tipica della società industriale e consumistica, completamente votata al denaro, al successo, alla competitività. Esso dovrà essere sostituito il più rapidamente possibile da una società post industriale finalmente strutturata sui valori dell’introspezione, dell’amicizia, dell’amore, del gioco, della bellezza, della solidarietà e della creatività»[6].


[1] U. Galimberti, L’ospite inquietante, Ed. Laterza, Bari, 2008, p. 28.

[2] Ivi, p. 35

[3] A. Oliverio Ferraris, A. Oliverio, Capire il comportamento, Ed. Zanichelli, Bologna, 2009, p.125.

[4] D. De Masi, Non c’è progresso senza felicità, Rizzoli, Milano, 2004, 214.

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Antonella Di Luoffo

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