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Comportamento

Quando mangiare non sazia

LA FAME EMOTIVA AI TEMPI DEL COVID

Con il termine emotional eating (definizione) si fa riferimento ad una fame che trascende il mero coinvolgimento organico, essendo suscitata, più che da impulsi fisiologici, dalla necessità di dominare un vissuto emotivo disfunzionale e di difficile gestione; l’assunzione incontrollata di cibo va dunque a sostituire una strategia di regolazione emotiva contrastata da deficit di automonitoraggio, consapevolezza e agency di fronte alle sfide quotidiane.

Uno dei modi con cui combattere la fame emotiva è trovare attività alternative all’abbuffata (definizione). Riempire il tempo con attività suppletive in grado di distogliere dal pensiero del cibo può servire non soltanto a costruire abitudini alimentari più adeguate– anche dal punto di vista nutrizionale- ma altresì a regolare quel caos emotivo di cui proprio le abbuffate rappresentano il disfunzionale strumento di controllo.

Per non trovarsi da soli davanti al frigorifero, laddove subire la tentazione sarebbe più facile, si può incrementare la vita sociale e l’attività fisica, da effettuare a mezzo di jogging o piacevoli passeggiate all’aperto. È infatti noto come una corretta attività fisica sia in grado di diminuire i livelli di cortisolo e di noradrenalina, e quindi di allentare la pressione dello stress. Coltivare i legami relazionali, allo stesso modo, è utile alla costruzione e al mantenimento di emozioni positive e stati di benessere interiore.

Ma in tempi di COVID? Come si può cercare di evitare il frigorifero quando l’emergenza sanitaria ci costringe in casa, limitando al massimo le uscite e le relazioni esterne e aumentando notevolmente i livelli di stress?

Inutile dire come la reclusione all’interno delle mura domestiche abbia aumentato il livello di stress, diminuito l’autostima e incrementato il senso di frustrazione e impotenza. Tutti vissuti che rendono più probabile lo sviluppo della fame emotiva e dei suoi correlati psichici e metabolici.

È facile cedere alla tentazione di aprire il frigorifero o di sedersi a tavola quando ci si trova da soli a casa, magari preda di vissuti di tristezza e solitudine, in questo tempo enfatizzati da notizie che pervadono lo spazio cognitivo con una intrusività ben poco accorta. Il comfort food,( definizione) il cibo da consolazione -diventa così un modo per colmare i vuoti affettivi ed elicitare stati d’animo positivi, ma anche uno strumento di liquidazione dell’ansia e di un disagio incomprensibile.

Mangiare in maniera eccessiva consente di creare uno spazio di autocontatto, dedicato al Sé soltanto, attraverso il quale raggiungere ed esprimere contenuti inconsci non verbalizzati. Ma aiuta anche a colmare un vuoto affettivo del quale viene percepita la potenziale pericolosità, in quanto si tratta di una voragine psichica che può inghiottire e disperdere il Sé. Il desiderio di introiettare un oggetto affettivo gratificante- inconsciamente identificato con il cibo- si alterna quindi al desiderio di allontanarlo dal Sé subito dopo l’introiezione. Da qui il profondo senso di colpa sperimentato al termine di un’ abbuffata, e l’instaurazione di un circolo vizioso in cui il cibo, esattamente come le emozioni in esso simbolizzate, viene al contempo cercato e temuto.

POSSIBILI SUGGERIMENTI PER LIMITARE LA FAME EMOTIVA

Alla base dell’emotional eating si trova un deficit di regolazione emotiva e degli impulsi. Per cercare di limitare il più possibile questa disfunzionalità può essere opportuno stabilire in primo luogo una serie di buone abitudini alimentari, dandosi il compito di rispettarle severamente.

Queste regole possono anche venir ufficialmente messe per iscritto e appese ad una parete della cucina o sullo sportello del frigorifero, in modo da averle sempre di fronte agli occhi, con funzione di monito e promemoria dell’impegno preso.

Dunque si mangia soltanto in certi orari e compostamente seduti a tavola. Aboliti i fuori pasto consumati in piedi, mentre siamo impegnati in altre attività, ci aggiriamo distrattamente per la casa o ce ne stiamo comodamente sdraiati sul divano.  

Attenzione anche ai tempi da dedicare al pasto, stabilendo un limite massimo. Ad esempio mezz’ora, e non di più. Questo non significa che ci si dovrà abbuffare quando più possibile nel lasso di tempo concesso, ma piuttosto che si dovrà ingerire più lentamente la quantità di cibo prescritta dal piano alimentare: una masticazione più lenta, oltre che richiedere un tempo maggiore per la consumazione degli alimenti, servirà a migliorare la digestione e ad incrementare la sensazione di controllo del Sé emotivo durante il pasto.

Nei periodi non dedicati alla nutrizione l’impulso ad alimentarsi deve essere controllato con l’utilizzo di attività alternative che anche in tempo di COVID è possibile organizzare comodamente a casa.

Ad esempio ci si può affidare al sostegno sociale, ricorrendo al supporto del telefono- o dei ben diffusi social network- per mettersi in contatto con amici e parenti. Ci si può tenere impegnati organizzando piccoli lavori domestici -magari con il riordino di stanze e armadi- e chi ne ha la possibilità può dedicarsi ad occupazioni manuali come il bricolage e giardinaggio. Si può stabilire un autentico repertorio di attività da intraprendere non appena percepiamo la voglia di mangiare fuori orario o più del consentito.

È vero, non si può uscire come prima. Ma anche l’attività fisica all’interno delle mura domestiche non è poi così inattuabile: basta avere una semplice cyclette o un tapis roulant per simulare il movimento della corsa. Ma anche fare le scale o una passeggiata in giardino può rivelarsi un utile sostituto del jogging.

Per verbalizzare un vissuto emotivo evitando di “soffocato” letteralmente nel cibo ci si può poi affidare all’ausilio della scrittura, descrivendo ogni occasione in cui l’impulso di mangiare si presenta, magari soffermandoci a riflettere sulle cause che lo hanno provocato e sul modo con il quale siamo riusciti a dominarlo o altrimenti gli abbiamo ceduto. Un vero e proprio diario affettivo-alimentare, utile anche a monitorare i progressi svolti nel tempo, a contemplare i risultati raggiunti e ad implementare il percorso di cambiamento con obiettivi sempre maggiori e gratificanti.  

Non bisogna poi dimenticare che l’attività regolativa dell’alimentazione comincia già dal supermercato: dunque, non riempire il frigorifero con cibi eccessivamente golosi o leccornie a cui scarsamente potremmo resistere può mostrarsi un ottimo metodo per evitare inutili tentazioni.

IL CIBO NON è UN CAREGIVER

Spesso il cibo aumenta la percezione di controllo del Sé in situazioni che non si possono dominare, e aiuta ad elaborare l’aggressività che non è possibile evacuare in altro modo. I tempi di pandemia che stiamo vivendo hanno contribuito ad ingenerare un senso di impotenza e di incertezza globale al quale si sta cercando di far fronte con strategie di coping non sempre opportune.

Non deve essere così.

È necessario disgiungere il cibo da una valenza affettiva e rassicurante, quasi si trattasse di un oggetto transizionale o di un caregiver cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà, e inserirlo in un contesto realistico, che gli restituisca l’identità di mezzo di nutrimento anziché di rivalsa affettiva.

La fame emotiva è l’espressione di bisogni affettivi frustrati .

Per gratificarli non si dovrà convertire un’emozione in cibo, ma al contrario tramutare l’emozione in un vissuto verbale da esprimere e condividere.

Trovare delle alternative alla fame emozionale non significa quindi reprimere le emozioni, bensì esprimerle con strumenti più adeguati, da coltivare attraverso la costruzione di legami inter ed intrapsichici stabili e coerenti, in vista di una riorganizzazione funzionale del rapporto con il cibo e prima ancora con il proprio universo emotivo.

Approfondimenti esterni:
Fame Emotiva personal trainer

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M.Rebecca Farsi

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