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Parlare a se stessi: la funzione dell’Io osservante
Intrattenersi in conversazioni più o meno complesse con se stessi è meno infrequente di quando si creda. La dimensione egoica, che consente una piena consapevolezza della realtà intrapsichica ed oggettuale, può divenire oggetto di una percezione distaccata, che consente una visione del Sé e del proprio agito prettamente esterna.
Non si tratta di un giudizio valutativo e categorizzante, né di una censura correttiva più tipica della dimensione superegoica.
La sua funzione è piuttosto connessa alla costruzione di un dialogo interno mirato a constatare l’oggettività di quanto sta accadendo o di come stiamo agendo, quando le azioni e i pensieri rischiano di sovrapporsi in una modalità confusiva e turbativa dell’omeostasi.
Grazie a questo procedimento di osservazione interiore si disegna uno spazio di riflessione autorivolta con cui gestire agiti e pensieri in una direzione adattiva. L’Io si scinde, pur non perdendo coesione e coscienza della propria integrità, al fine precipuo di valutarsi. Di osservarsi. Ed è proprio così che prende vita l’Io osservante.
È in questo affascinante avvicinamento al Sé che l’Io si distacca momentaneamente da se stesso per assumere una posizione valutante esterna, e al contempo si scinde in due parti, delle quali l’una valuta l’altra per direzionarla, per esplorarla, per conoscerla.
Ma in questo distacco non v’è nulla della funzione dissociativa, nella quale la dimensione egoica evade da una realtà inaccettabile, creando lo spazio trasformativo di un dolore terrifico che altrimenti non riuscirebbe a fronteggiare. Negli stati di auto osservazione, la dimensione egoica non perde in nessun modo la propria coesione e interezza, andando anzi a neutralizzare tutte quei fattori che potrebbero metterne in pericolo la permanenza. Né si tratta di una mera operazione cognitiva che permette di ampliare il pensiero, facilitare la riflessione, regolare l’agito in un gioco di rimproveri, stimolazioni, esortazioni autorivolte.
Esso è piuttosto identificabile in una sorta di holding, un ambiente contenitivo in cui l’IO si pone come oggetto di se stesso, come proprio interlocutore, osservato speciale in una dimensione contemporaneamente interna ed esterna al Sé.
All’interno di questo spazio auto oggettivante è più facile prendere le distanza da se stessi e tuttavia avvicinarsi più intimamente alla propria condizione, a quel nucleo interiore che descrive con lealtà autocritica il Sé, e che risulta impedito da un coinvolgimento interiore troppo intenso.

Quando si attiva….
L’IO osservante viene attivato in tutti i casi in cui è necessario tracciare una distanza tra il Sé e il contesto di azione contingente, e dunque tra il Sé e l’Io, al fine di ripristinare tra gli stessi equilibrio e armonia. Osservarsi all’interno e dall’interno si rende necessario in tutti le situazioni in cui il cervello emotivo si disconnette da quello razionale- magari a causa di stati confusivi, di cadute attentive, di eccessiva pressione pulsionale, causando un depotenziamento delle funzionalità egoiche e delle competenze allo stesso collegate. Ma anche quando desideriamo trovarci più a contatto con la nostra dimensione interiore, sganciando momentaneamente gli investimenti egoici per ritirarci in una sorta di limbo autogestito, uno spazio transizionale situato contemporaneamente fuori e dentro la realtà.
Grazie alla sua funzione è possibile maturare un giudizio leale e assertivo sul Sé, da cui possono discendere critiche, valutazioni, correzioni, riflessioni. Cambi di rotta, se necessario, e il tutto con finalità adattiva.
Nel momento in cui è attiva la funzione dell’Io osservante ci ritroveremo a porci, ad esempio, domande di questo genere: Cosa sto facendo, per quale motivo mi comporto così, cosa è necessario che io faccia in questo momento….ma anche a rivolgerci dei consigli, dei suggerimenti, degli ammonimenti con finalità critica o rinforzante, il tutto in armonia con il contesto nel quale ci troviamo ad operare.

Il Sé come oggetto moderatore
Esattamente come per valutare più globalmente un’opera d’arte è necessario distaccarsene e prendere le giuste distanze, per maturare un colpo d’occhio completo sul Sé è necessario distaccarsi temporaneamente dalla propria dimensione interiore pur restandovi solidamente ancorati. Al fine di vedersi come un oggetto esteriore, assumere una posizione alternativa, eventualmente trasformativa dell’attuale ma non limitativa della propria coesione e integrità.
Per questo la capacità di osservarsi presuppone doti di piena autoconsapevolezza e autogestione: in caso contrario non sarebbe possibile porsi come interlocutori auto osservanti, restando in equilibrio su un sottile limine tra l’interno e l’esterno del Sé, pronti ad ascoltare quella voce interiore che guida, consiglia e direziona, come una madre attenta e premurosa, e che di quella madre costituisce il residuo esperienziale.
La dote dell’Io osservante non viene appresa tout court, in un istante effimero e fugace: si tratta al contrario di un processo che si perfeziona nel tempo, grazie alla funzione regolativa di una madre moderatrice che con il tempo viene interiorizzata, trasformandosi in una sorta di regolatore interno che riassesta, ripristina equilibri e favorisce istanze critiche.
Ben lungi da ogni effetto di alienazione l’’Io osservante è ben radicato nella realtà, e nel suo distaccarsene momentaneamente, si cela soltanto l’intento di introdurvisi con piglio più pieno e consapevole.
Saper guardare dentro se stessi attraverso il Sé, significa avere un contatto pieno e profondo dalla realtà: presupposto, quest’ultimo, di un buon funzionamento egoico. E dunque, di un pieno benessere psichico.
Per questo l’assenza di Io osservante è, di fatto, un elemento riscontrabile in diversi contesti psicopatologici, primo tra tutti le psicosi, che causano una totale perdita della consapevolezza auto ed etero oggettuale. Ma anche contesti depressivi, o nevrotici ( nella varie connotazioni isteriche, ossessive o fobiche) i cui rispettivi connotati disfunzionali impediscono di porsi in una condizione interiore orientata ad una piene e consapevole esplorazione del Sé.

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m. rebecca farsi

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