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Mente

Una mente che soffre è una mente che vaga

Dimmi: perché giacendo
a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
Giacomo Leopardi

Il pensiero ripetitivo negativo

introduzione

Il pensiero ripetitivo negativo può essere immaginato come l’opposto del mind-wandering. Entrambi, infatti, vedono l’attenzione distrarsi dal compito che si svolge in un certo momento, ma se in un caso i pensieri sono liberi di vagare liberamente, nell’altro essi sedimentano su di un singolo argomento, con effetti negativi sul benessere della persona: esso è uno dei fattori di mantenimento di disturbi d’ansia o depressivo.
Una forma di pensiero ripetitivo negativo è la ruminazione (worry), definita come concatenazione di pensieri ed immagini incontrollabili, attivati dall’individuo nel tentativo di prevenire eventi negativi in condizione d’incertezza.


I benefici della terapia basata sulla Mindfulness

La mindfulness viene tipicamente definita come attenzione non giudicante all’esperienza del momento presente. Più recentemente, Bishop e colleghi (2004) hanno suggerito un modello a due componenti della mindfulness, in cui la prima è la regolazione dell’attenzione sull’esperienza presente, e la seconda è l’approccio di curiosità, apertura ed accettazione verso le proprie esperienze, a prescindere dal loro valore. Nella sua essenza, la pratica si focalizza su pensieri, emozioni e sensazioni corporee, osservandole mentre emergono e si dissolvono (Kabat-Zinn, 1990).

Nella pratica, il focus dell’attenzione è spesso un oggetto interno: la sensazione di respirare, o sensazioni emotive. Un gran numero di ricerche indica che la mindfulness produce cambiamenti strutturali e funzionali nelle regioni cerebrali connesse alla body awareness, cioè l’abilità di notare sensazioni corporee sottili. L’insula, ad esempio, si attiva maggiormente in persone che hanno praticato la mindfulness per alcuni mesi.
L’insula è comunemente attivata nei task legati alla consapevolezza interocettiva (Craig, 2003), e il suo volume correla con l’accuratezza nella visceral awareness, cioè la consapevolezza dei processi fisiologici nel proprio corpo (Critchley, et al., 2004). Si è trovato che la sua attivazione aumenta nei soggetti esposti ad un mindfulness-based stress reduction course. È possibile che tali cambiamenti possano portare a migliori capacità empatiche. A supporto di tale ipotesi, in un gruppo di monaci è stata rilevata maggiore attivazione insulare durante la visione di stimoli acustici di persone che soffrono.

Nel processo di regolazione delle emozioni, i sistemi prefrontali esercitano un’azione modulatrice su quelli che stimolano le emozioni. Nello specifico, i sistemi prefrontali come corteccia prefrontale laterale (lPFC), sono stati implicati nei processi di attenzione selettiva; la regione ventrale di PFC nell’inibizione della risposta; ACC nel processo di controllo del monitoraggio; PFC dorso-mediale nel monitorare i propri stati affettivi (Modinos et 2010). Dopo un corso di mindfulness-based stress reduction, Farb et al., (2007) hanno trovato maggiore attivazione nel PFC ventrolaterale nei soggetti sperimentali, che hanno interpretato come aumentato controllo inibitorio. Goldin e Gross (2010) hanno successivamente rilevato ridotta attività dell’amigdala in individui con ansia sociale, a seguito di un corso di mindfulness-based stress reduction

Quando la consapevolezza interna viene migliorata attraverso la meditazione, i meditatori riportano di poter osservare i processi mentali con maggiore chiarezza (MacLean et al., 2010) e maggiore risoluzione temporale. In virtù di questa
chiarezza, il processo di un sé che emerge ripetutamente diviene osservabile, portando infine ad una forma di meta-consapevolezza. Questo termine identifica una forma di esperienza soggettiva in cui il soggetto esperisce il sé non come entità o struttura, ma come mero evento (Olendzki, 2006). È stato postulato che prestare attenzione alla natura transitoria del sé conduca, in ultima istanza, alla ‘decostruzione del sé’ (Epstein, 1988).


Il training di meditazione mindfulness è in grado ridurre la ruminazione. Taesdale e colleghi (1995) hanno riconosciuto il ruolo centrale dei pattern di pensiero ruminativi nella ricaduta della depressione. Questa idea supporta la teoria per cui la ricaduta depressiva potrebbe essere prevenuta sostituendo ai pensieri ruminativi un tipo di cognizione meno centrato sul sé e maggiormente consapevole. Il training di meditazione mindfulness riesce a prevenire la ricaduta depressiva del 44% in casi di pazienti cronicamente depressi, con una storia di tre o più episodi depressivi.
Altre prove a sostegno dell’ipotesi per cui il training di meditazione mindfulness potrebbe ridurre l’attività ruminativa.

In uno studio condotto da Ramel et al. (2004) il training di meditazione mindfulness è stato impiegato per ridurre la ruminazione in pazienti con disturbi dell’umore, con assessement prima e dopo un corso di meditazione di otto settimane. I risultati mostrano che quanto più la pratica meditativa è stata messa in atto, tanto più la ruminazione si riduceva al termine delle otto settimane di corso. Gli autori hanno quindi ipotizzato che questo
tipo di training potrebbe insegnare strategie autoregolatorie che aiutano a modificare componenti depressogene del comportamento, come appunto la ruminazione.

La Default Mode Network

La Default Mode Network (DMN) è una rete composta da aree corticali del cervello umano, felino e roditore. La sua scoperta fu il risultato fortuito di alcuni studi di brain imaging tramite tomografia ad emissione di positroni (PET), in cui i compiti d’attenzione venivano comparati con lo stato di riposo. Si trovò che la DMN vedeva aumentare la sua attività proprio durante lo stato di riposo.

Ancora più stretti sembrano essere i legami tra depressione, ruminazione e default mode network. È probabile che le più forti manifestazioni di ruminazione appaiano non quando le persone sono impegnate in un compito, ma mentre sono a riposo. Le ricerche indicano che le persone vagano con la mente per il 10-15% del loro tempo di veglia e che, a livello neurale, questo mind-wandering sembra coinvolgere le regioni della Default Network.

Numerose tradizioni filosofiche sottolineano l’importanza del ‘vivere nel momento’ per raggiungere la vera felicità. Tuttavia, la modalità default del funzionamento mentale sembra essere quella del mind wandering, che correla con
l’attivazione di un network cerebrale associato, come visto, al processing autoreferenziale ed alla ruminazione. Indagando l’attività cerebrale di meditatori esperti e principianti, Brewer e colleghi (2011) hanno trovato che i nodi principali del DMN (cortecce prefrontale mediale e cingolata posteriore) erano pressoché inattive in quelli esperti. Oltre a questi risultati, l’analisi della connettività funzionale ha rivelato una maggiore connessione tra le aree implicate nel self-monitoring e nel controllo cognitivo: cingolato posteriore, cingolato dorsale anteriore, corteccia prefrontale dorsolaterale (ibidem). I ricercatori hanno pertanto ipotizzato che un trattamento basato sulla meditazione mindfulness, capace di ridurre la frequenza con cui si rumina, potesse rivelarsi in grado di ridurre l’attività della DMN, associata proprio alla ruminazione.

Conclusioni

L’attenzione umana si focalizza per sua natura sulle caratteristiche dell’esperienza associate ad una minaccia o ad una ricompensa. Le minacce dei tempi remoti sono state sostituite da preoccupazioni e dolori psicologici, dai quali la mente è inevitabilmente attratta, portando poi a ruminazione. Nel cervello, la Default Mode Network è risultata associata al mind-wandering, mentre una sua attività abnormale sembra predisporre ad ansia, depressione, deficit attentivo e disturbo da stress post-traumatico. La meditazione, tecnica non invasiva e non farmacologica, può ridurre
queste abnormalità, portando a cambiamenti strutturali e funzionali del cervello stesso.

Le modifiche operate sulla DMN potrebbero portare benefici in prospettiva dell’invecchiamento, processo fisiologico accompagnato da declino cognitivo della memoria e delle funzioni esecutive. Poiché le alterazioni nella connettività della DMN sono risultate determinanti nel declino cognitivo, si è ipotizzato che operare sulla TPN possa rallentare il naturale processo di declino cognitivo (Sood e Jones, 2013). La pratica meditativa permette di aumentare la meta-consapevolezza, un’abilità cognitiva che coinvolge entrambe le reti. Essa dunque si configura come strumento di benessere capace di rallentare il declino cognitivo dell’anziano ed aumentarne la qualità della vita (Ramirez et al., 2019). La futura ricerca sul tema permetterà di aumentare la conoscenza dei meccanismi neurologici di attenzione, mind-wandering e default mode network, così come degli strettissimi rapporti tra cognizione e salute mentale.

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Donato Antonio

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