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Mente

Il Cinema “Nucleare”

L’America, dal 6 agosto 1945, non ha mai smesso di preoccuparsi, né, tanto meno, ha mai cominciato ad amare veramente la bomba. Inizialmente quanto avvenne ad Hiroshima e Nagasaki cercò di essere interiorizzato quale luogo ineluttabile: negli stessi luoghi, in Oriente, dove aveva preso corpo per gli Stati Uniti il fantasma del secondo conflitto mondiale, questo incubo pare avere termine in maniera drastica e tragica. Hollywood, affronta immediatamente l’episodio e quasi nello stesso tempo se ne allontana: i primi film sull’argomento impostano il discorso in termini che oscillano fra un documentarismo ambiguo e più evidenti necessità di giustificazione dell’atto: ma il proprio oggetto di narrazione (l’atomica), nella sua realtà storica, scompare. Ogni sacrificio necessita un atto di espiazione e, come molte volte è accaduto nella cultura americana e nel cinema in particolare, quest’atto assume le forme della psicosi, dell’ossessione. Accanto all’emergere delle tematiche legate alla Guerra Fredda, l’“ossessione dell’atomica” diventa uno dei caratteri più significativi di tutta la produzione che va dalla fine degli anni quaranta alla metà degli anni sessanta, ramificandosi sotto vari aspetti, attraverso differenti generi. Per tutti gli anni cinquanta la questione atomica dilaga, mentre con l’arrivo del decennio successivo moltiplica le sue espressioni: si fa metafora di fantapolitica, innanzitutto, oppure ricopre funzioni “ammonitive” sui rischi che l’umanità corre circa una possibile autodistruzione. Il film che più di tutti merita di essere ricordato è Il dottor Stranamore[1] di Stanley Kubrick. È necessario aver presente che questa pellicola, di per sé, meriterebbe un capitolo a parte, sia per il ricco simbolismo che si cela dietro ad ogni singolo oggetto e personaggio, sia scava profondamente nelle contraddizioni e nella storia dell’America della Guerra Fredda. In questa sede, procederemo ricordando i concetti salienti che si possono riscontrare.
 
“Avevo la sensazione che Stanley soffrisse di una forma di paranoia che gli faceva temere che New York potesse essere annientata da una bomba atomica. Ricordo che a un certo punto disse di voler andare a vivere in Australia, perché quello era un posto che difficilmente sarebbe stato preso di mira da un attacco nucleare”.
 
Queste parole di David Vaughan, amico di Kubrick, dimostrano l’ossessione per il nucleare che il regista nutriva da sempre. L’ipotesi di un imminente olocausto nucleare era diretta figlia del suo cupo pessimismo nei confronti della creatura “uomo”. Kubrick pone al centro della narrazione l’errore umano, variabile indipendente del sistema di sicurezza mondiali: la follia di un singolo finisce con il mettere a repentaglio l’intera umanità.
Il romanzo che ispirò a Kubrick Il dottor Stranamore, “Two hours to doom” (pubblicato negli States col titolo di “Red alert”), è un esempio di come la fantapolitica sia in grado, alle volte, di anticipare degli scenari drammaticamente realistici. Scritto nella seconda metà degli anni cinquanta da Peter Bryant, il libro racconta di un generale degli Stati Uniti che di sua iniziativa allerta i bombardieri atomici della propria base militare per un attacco ad obiettivi strategici russi. Lo scopo è quello di trascinare il capo della Casa Bianca in una guerra risolutiva contro l’Unione Sovietica, ma l’unica bomba atomica che riesce a superare lo sbarramento di difesa sovietico esplode lontano dai centri abitati. Al termine del romanzo, il presidente russo e quello americano giungono perciò a stipulare un accordo al fine di evitare futuri pericoli. Il film, però avrà esiti del tutto diversi e drammatici: Kubrick stese una prima sceneggiatura del film nel ’58 e sebbene insoddisfatto del proprio lavoro iniziò le riprese del film nel ’62. Strada facendo, però, Kubrick iniziò[2] a rivedere il soggetto del proprio film, per trasformarlo in direzione di una commedia umoristica.
 
“Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura – dichiara Kubrick – con tutte le intenzioni di fare del film una seria trattazione del problema di una guerra nucleare accidentale. Ma appena cominciavo a cercare di immaginare in che modo sarebbero dovute andare le cose, mi venivano in mente idee che ero costretto a scartare in quanto ridicole. Ma in seguito mi resi conto che le cose che non prendevo in considerazione erano proprio le più verosimili. Dopo tutto cosa potrebbe esserci di più assurdo dell’idea di due superpotenze che decidono di spazzar via ogni forma di vita umana a causa di un banale incidente, alimentato da divergenze politiche che tra un centinaio di anni sembreranno tanto prive di senso quanto a noi oggi appaiono le dispute teologiche medievali?”.[3]
 
La ricetta per un’opera artisticamente eccezionale verrà completata dalla scelta degli attori che compongono il cast del film e su cui brillerà fra tutte l’interpretazione di Peter Sellers, impegnato a sostenere la parte di ben tre diversi personaggi.
Il generale Ripper, comandante di una base strategica americana, nutre la personale convinzione che la superpotenza sovietica riesca a nuocere al “mondo libero” fluorizzando l’acqua delle fonti dei fiumi. Per questa ragione, reintegra da anni il suo quotidiano bisogno di liquidi bevendo esclusivamente acqua distillata. Stanco di vedere gli effetti deleteri di questo avvelenamento biologico, che si manifesta attraverso la progressiva decadenza della virilità occidentale, il povero Ripper decide di allertare la propria base e di mettere in atto il piano di difesa atomico che prevede il bombardamento di 35 obiettivi strategici situati nell’Unione Sovietica. In questo modo, il piano di difesa si trasformerà nell’attacco offensivo che deve innescare la rappresaglia da parte dei russi e decidere una volta per tutte delle sorti dell’umanità. Avendo un significativo vantaggio di partenza, Ripper è convinto del proprio successo, in quanto il presidente degli Stati Uniti, una volta preso atto della situazione, non avrebbe altra scelta che riversare tutto il potenziale bellico contro i sovietici, al fine di ridurre al minimo la loro capacità di organizzare la controffensiva.
 
“Nello scegliere anche l’incoerente, – continua il regista – mi sembrava di essere meno schematico e più realistico rispetto ad ogni altro cosiddetto trattamento serio, realistico, che in sostanza è più stilizzato della vita stessa perché elimina attentamente il banale, l’assurdo, l’incoerente.”
 
Un punto cardine della pellicola, su cui Kubrick torna più volte, è la mancanza e la difficoltà di comunicazione: la base militare, il bombardiere, e il salone di guerra del Pentagono sono i tre luoghi nei quali si snoda l’intero film. Ma nessuno di questi, in realtà, è in contatto con gli altri: ogni tipo di rapporto è aleatorio, ciascuno è un comparto stagno, gli uomini non comunicano tra loro mentre il tempo stringe orribilmente.
Il film può essere visto come prima manifestazione dei cambiamenti in atto, nel sistema hollywoodiano, dei modi di trattazione delle tematiche atomiche. Alla paura del contagio, dell’invasione da parte di elementi esterni, sublimata nelle invasioni aliene degli anni cinquanta, succedono ben altri timori; ansie che l’opprimente realtà della “guerra fredda” negli anni sessanta rendeva così palpabili[4], tanto da trovare espressione sia nella produzione di fiction, sia nei documentari. Ad una politica internazionale dell’America basata su misure emergenziali, succede un “retorico entusiasmo per l’armamento atomico”[5] dell’amministrazione Heisenhower, quanto un insieme di tensioni, di dubbi, di intrinseca inquietudine. Tutti dati, questi, che dopo l’omicidio Kennedy tenderanno ad esplodere.
Il dottor Stranamore è un grande specchio, una cartina al tornasole della Guerra Fredda. Ne vengono lucidamente ed impietosamente messi a nudo le assurdità, le infantilità e le pericolosità, nonchè la sua triste attualità. Attuale e contemporaneo è infatti il modo con cui vengono spesso condotte le relazioni internazionali tra gli stati. Impietoso e crudele è il ritratto che Kubrick realizza della classe dirigente mondiale, sia militare che civile.
Il ’”sistema-America” e la sua (presunta) inattaccabilità sono scardinati con l’arma dell’ironia (e qui sta il colpo di genio). Attraverso l’uso di metafore sessuali, doppi sensi gergali e situazioni paradossali la gli Stati Uniti cedono e crollano di schianto. Nessuno si sottrae: militari, politici, l’umanità che ha messo nelle mani di questi individui i destini del mondo. L’incomunicabilità è il grande tarlo che rode alla base tutta la sicurezza ed il cosiddetto “equilibrio del terrore”, fondamenti e fragili basi che hanno sostenuto la vita del pianeta dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La pellicola vive di vita propria ed è di straordinario impatto grazie alla maestosa interpretazione di Peter Sellers ed al sapiente incastro (quasi scacchistico) logico e freddo che è la spina dorsale del film. Grazie anche a questo film, la società americana ha esorcizzato la paura della bomba (come recita il sottotitolo del film) e ha visto germogliare i semi del dissenso, che avrebbero dato il loro frutto di lì a pochi anni. Si abbatte in questo modo la sindrome della “fortezza accerchiata”, propria della coscienza collettiva statunitense di quegli anni.
E come conclude Kubrick
 
“Nel contesto di una imminente distruzione del mondo, l’ipocrisia, l’incomprensione, la lascivia, la paranoia, l’ambizione, il patriottismo, l’eroismo, e anche la ragionevolazza possono far scoppiare una sinistra risata”.


[1]1963

[2]Spinto anche dall’improvvisa urgenza di battere sul tempo l’uscita e la distribuzione del film di Sidney Lumet ispirato al romanzo “A prova di errore” del politologo Harvey Wheeler e dello scrittore Eugene Burdick, i quali erano incorsi in una querela per plagio a causa delle numerose analogie del loro libro con “Two hours to doom”.

[3]Stanley Kubrick, Film Director Superstar, di Joseph Gelmis

[4]La crisi dei missili a Cuba, per esempio, esplode nel ’62 portando, come è noto, ad un passo dal conflitto mondiale

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Claudia Maggini

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