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Scuola

I Giovani e la Cultura della Rete

Per i giovani la rete costituisce oramai uno strumento di uso massiccio e costante.
L’abitudine a connettersi è diventata per i più un “modus vivendi”, un modo cioè di stare al mondo e di conoscere il mondo.
Alla base della comprensione dell’universo giovanile, ci deve pertanto essere la conoscenza delle modalità attraverso le quali i giovani si rapportano ai nuovi media e quali effetti possono questi ultimi determinare sul loro sviluppo cognitivo e psicologico.
Numerose sono state le ricerche condotte negli ultimi anni a questo riguardo, offrendo la possibilità a genitori, insegnanti, educatori tutti, di riflettere sugli aspetti sia positivi che negativi dello strumento multimediale ed informatico e, dunque, di individuare le corrette modalità e strategie che potrebbero risultare ottimali sia per l’apprendimento scolastico che per la crescita personale di ogni giovane.
Nell’ambiente scolastico, la tipologia linguistica utilizzata nei social network, come Facebook, potrebbe risultare efficace ai fini di una memorizzazione a lungo termine degli argomenti trattati in classe.
A questo proposito, la studiosa Jolanda Stevani rileva in un suo recente articolo:
“La nostra mente è in grado di recepire, conservare e ricordare meglio i messaggi on line poiché essi sono prodotti attingendo alle capacità linguistiche di base della nostra mente, vale a dire in modo spontaneo, originale e più vicino al nostro modo di parlare di tutti i giorni”1 e, a proposito dell’apprendimento a scuola, continua la studiosa: “gli insegnanti potrebbero pensare di introdurre frasi più corte e più colloquiali nei testi di studio per incrementare il rendimento degli studenti”2.
Dove introdurre dunque frasi più corte e colloquiali come suggerisce la Stevani?
Sicuramente i momenti introduttivi dell’attività didattica potrebbero fornire una occasione favorevole se fossero impostati come un’iniziale chiacchierata spontanea tra studenti, alla quale l’insegnante si aggancerebbe, introducendo termini nuovi e invitando tutti a svolgere un lavoro di “esplorazione-scoperta” dei significati, avvicinando termini a loro familiari e noti a quelli a loro del tutto estranei ed ignoti.
A questo primo momento dovrebbe seguirne uno intermedio, più impegnativo e impostato sull’utilizzo dei mezzi “tradizionali”, come lavagna e libri, anch’essi in parte trasformati oggi in forme digitali e multimediali.
Il linguaggio semplice e colloquiale tornerebbe ad essere adottato nell’ultimo momento dell’attività didattica, costituito da un lavoro di rielaborazione e costruzione collettiva di mappe concettuali riguardanti gli argomenti precedentemente trattati.
Rimanendo ancora all’interno delle mura scolastiche, Facebook potrebbe costituire uno strumento formativo se utilizzato dai ragazzi in un contesto metodologico di peer education.
All’interno di una tematica scolastica, l’insegnante potrebbe proporre agli studenti di esaminare un argomento di loro particolare interesse e, in una prima fase, di aprire una pagina Facebook, nella quale tutta la classe sarebbe invitata, ma non obbligata ad intervenire, rispondendo a domande-stimolo inizialmente fornite dall’insegnante in classe e, in seguito, arricchite con ulteriori domande suscitate dalle risposte date alle prime.
L’utilità di Facebook sarebbe quella di portare avanti l’attività didattica in forma colloquiale e spontanea.
Simile metodologia didattica permetterebbe ai giovani di percepire il social network non più, secondo l’uso comune, come il mero luogo della chiacchiera futile e delle battutine fatte per il divertimento immediato, bensì come una piattaforma in cui discutere su una questione, secondo un approccio scientifico, al fine di convergere verso un punto comune e di arrivare insieme ad una sintesi.
Ciascuno di loro contribuirebbe così attivamente alla costruzione del sapere, godendo insieme agli altri del piacere della scoperta.
La trattazione dell’intercultura potrebbe prestarsi bene all’uso di Facebook.
Essa permetterebbe agli studenti di raccontare le proprie esperienze con coetanei di altre nazionalità, di esprimere la loro opinione sul valore dello scambio culturale, invitando alle discussioni anche studenti italiani all’estero o studenti di altre nazionalità.
L’utilizzo di Facebook a scuola sarebbe, inoltre, un’occasione importante per tutti quegli studenti timidi che, facendo fatica ad emergere dal contesto tradizionale della classe, si sentirebbero più a loro agio a comunicare col mezzo virtuale, migliorando in tal modo la propria competenza sociale e incrementando la fiducia in se stessi.
In caso di “rigoglioso” interesse da parte della classe alla tematica trattata, l’insegnante potrebbe allora proporre loro di svilupparla sotto forma di ricerca personale o di gruppo.
Il vasto canale di internet sarebbe una risorsa utile da cui attingere per il reperimento delle fonti.
Prima di accedere ad internet, l’insegnante dovrebbe però indicare ai suoi studenti il metodo corretto nel reperimento delle fonti: quello sistematico ed analitico, basato sulla paziente ed attenta lettura dei documenti, sulla comparazione degli stessi, anche in contrapposizione tra di loro, sulla ricerca della fondatezza di essi.
Tutto ciò comporterebbe sicuramente un lungo dispendio di tempo e di energia e, trovare spazi di applicabilità nell’ambito della programmazione scolastica generale richiederebbe all’insegnante un’attenta pianificazione didattica a monte.
D’altra parte, è la scuola il luogo per eccellenza in cui gli studenti hanno l’opportunità di impiegare in modo intenso e produttivo le loro risorse mentali.
Fare cattivo uso della rete nella ricerca delle informazioni è un fenomeno molto diffuso in quanto è comune a tutti incappare in ciò che Gerald Bronner, Professore di sociologia presso l’Università di Strasburgo, ha definito “errore di conferma”3.
Citando le parole del medesimo:
“La nostra mente, nella ricerca di informazioni, cerca i dati che confermano la rappresentazione che si era già costruita…si accetta un’idea, si persevera nella credenza tanto più facilmente quanto più la diffusione ampia e non selettiva di informazioni rende probabile la scoperta di dati che la confermano”4.
Obiettivo formativo del docente è dunque considerare lo studente dopo la scuola e quale sarà l’uso che egli farà, nella vita di tutti i giorni, delle proprie risorse mentali e competenze.
Sul piano dell’apprendimento e della conoscenza del sé, è tuttavia indispensabile riflettere ancora sul valore formativo posseduto da uno strumento didattico tradizionale: il libro, indipendentemente dalla sua forma cartacea o digitale.
Oggigiorno, i giovani vivono nella ininterrotta attesa di informazioni sempre nuove, segnalate da vibrazioni e dai suoni più svariati dei telefonini, dotati non più solo di sms, ma di tutti gli strumenti di comunicazione messi a disposizione da internet (Facebook, Twitter, Chat, You tube, Instagram, ecc.,).
Il libro consentirebbe loro di interrompere la comunicazione con il mondo esterno, creandosi uno spazio di raccoglimento interiore in cui interrogarsi (come sono andato avanti? Sono cresciuto come persona?); ritrovandosi e riconoscendosi nella propria singolarità, i giovani riconquisterebbero anche un senso di profonda serenità.
Alcuni studiosi sostengono che staccare la spina dal bombardamento continuo di informazioni è indispensabile non solo per il riconoscimento ed il ritrovamento del sé (che interessa giovani ma anche non più giovani) ma anche per lo stato di salute della mente5.
Quest’ultima, infatti, di fronte al flusso ininterrotto e incessante di informazioni, tende ad attivare ciò che Gunter Weick e Wolfgang Schur, esperti di informatica, hanno definito “riflesso paleolitico”, frutto della evoluzione umana.
Come essi spiegano:
“L’evoluzione ci ha insegnato che le informazioni nuove sono importanti per la sopravvivenza. Quindi appena si affaccia una nuova notizia non possiamo far altro che attivare autonomamente il canale d’ingresso e mettere in stand by tutti gli altri processi”6.
Diversi studiosi concordano nel sostenere che, a lungo andare, la mente rischia di subire un deficit di concentrazione o, addirittura di subire un burn out7.
Per allontanare questo rischio, Ernst Poppel, professore di psicologia medica all’Università di Monaco, suggerisce di interrompere ogni comunicazione col mondo esterno per un’ora al giorno, tra le 11 e le 128.
Un intervallo di tempo che i docenti, a scuola, potrebbero impiegare proprio con la lettura di un buon libro.
BIBLIOGRAFIA
1. psicologia contemporanea, direttore: Anna Oliverio Ferraris, GIUNTI ED., Firenze-Milano, SETT.-OTT. 2010
2. psicologia contemporanea, direttore: Anna Oliverio Ferraris, GIUNTI ED., Firenze-Milano, MARZO-APRILE 2012
3. psicologia contemporanea,direttore: Anna Oliverio Ferraris, GIUNTI ED., Firenze-Milano, GEN.-FEB. 2014

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Antonella Di Luoffo