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Scuola

Chi Saprà Abitare le Domande dei Bambini?

“Tu non sai e devi sapere perché il non sapere non esiste” sono voci che ancora fanno eco nei luoghi della scuola. Non mi appartengono. Penso allo sviluppo di un sapere mai appreso del tutto, a un’altra relazione educativa. Il bisogno di filoso-fare nasce allorquando raggiungiamo un minimo di capacità di auto-riconoscimento. E la usurperemmo ai bambini questa capacità? Forse li pensiamo estranei alla capacità di autoriconoscimento a causa della nostra difficoltà nel trovare i modi di approccio adatti alla riflessione con i nostri bambini?
Uno storico può chiedere che cosa è accaduto in un certo tempo del passato, ma un filosofo chiederà “Che cos’è il tempo?”. Un matematico può studiare le relazioni tra i numeri, ma un filosofo chiederà “Che cos’è il numero?”. Chiunque può chiedersi se è sbagliato entrare in un cinema senza pagare, ma un filosofo chiederà “Che cosa rende un’azione giusta o sbagliata?”4
Chi mai potrà negare che queste domande non appartengono anche ai bambini? E dunque, se è vero, perché non tentare di spostarci al di qua del limite, provando a portare la filosofia ai bambini della scuola primaria? Si tratterà non di “insegnare filosofia”, quanto di “filo-so-fare” con i bambini. Come? Il tempo della parola rappresenta l’invito a intraprendere con i bambini un viaggio di attenzione. Il presupposto di base di filosofia con i bambini è costituito dall’avere rispetto per le menti dei bambini, nella cura dei bambini, durante il dialogo, come individui autonomamente pensanti, perché solo esseri liberi interpretano, cioè ascoltano, parlano, agiscono e danno poeticamente forma alla loro esistenza. Tutti i tentativi di completare la filosofia falliscono: non c’è modo di risolvere l’enigma del mondo, il mistero di ciò che siamo e di ciò che potremmo essere. Predisporre il cammino della filosofia con i bambini suppone che siamo disposti a convivere con questo enigma e quest’assenza di certezze; ma suppone anche qualcos’altro: permettere che i bambini facciano un loro/il loro cammino mentre vanno. Credo che l’immagine più suggestiva della filosofia stia in quel passo del Simposio allorché Socrate parlando di Eros, così lo descrive: “Non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è un senza-casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno l’accompagna sempre. E’ povero, infatti gli manca qualcosa da amare. Come suo padre, invece, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di prim’ordine, sempre pronto a tramare inganni”… “Come uno scugnizzo”, commentano i bambini.5 
I giocattoli dei poveri
Mattia: I figli dei poveri si divertono più dei ricchi.
Lucia: Prendono una canna, ci levano il legno che sta dentro e così rimane solo la scorza . Fanno il fischietto e poi fischiano.
Maria: Con le mazze si fanno anche le frecce.
Giuseppe: Perciò i poveri si divertono di più e possono fare tutti i giochi che vogliono perché se li inventano.
Antonio: Ma il ricco non può inventare niente perché è stato abituato a giocare sempre con i giocattoli dei negozi.
Mattia: E non pensa. 
Chi sono coloro che hanno desiderio di conoscere?
Sono quelli che vivono nella passione del sapere, a metà tra la sapienza e l’ignoranza, ed Eros è uno di questi. Eros desidera il sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole. E la causa di questo è nella sua origine: perché è nato da Poros un padre sapiente e pieno di risorse e da Penia una madre povera tanto di conoscenze quanto di risorse, capace solo di prendere quanto le viene dato in elemosina.
     L’altra immagine non meno forte è quella dell’erranza instancabile del pensiero indagatore alla ricerca del senso e significato ultimo dell’essere. Travierz terr è una metafora. Che rifiuta le strade canoniche. Ha a che fare con l’arte. E’ un andare a piedi nudi sulla terra, lontano dal sentiero di terra battuta. Sentire che sarebbe molto più agevole camminare sul sentiero, e invece affondare i piedi nella terra, un sentire dolore che insieme è piacere. Errare comporta fatica, difficoltà, incomprensione, conflitto. L’incontro con la differenza può diventare conoscenza, apprendimento, scoperta, rivelazione di novità, tramite lo stupore infantile, la meraviglia innocente.
Il prigioniero della caverna, spiegano i bambini, è curioso, è questa la ragione che lo spinge a uscire fuori dalla caverna. Chi saprà ascoltare la voce del prigioniero curioso? Chi saprà tenere compagnia ai bambini in quella meraviglia che sa presto farsi domanda? Quelli che non rimangono legati alle proprie cornici culturali e ideologiche, ai propri “idola”. 
Quali insegnanti sapranno abitare le domande dei bambini?
Spesso si censura il parlare dei bambini perchè, si ritiene, fuori luogo, non pertinente. 
Invito i bambini a disegnare, su un foglio, la bugia e la verità. Se fosse la sedia oppure il banco, sarebbe facile tracciarne a matita la figura. Ma la bugia e la verità che forma hanno? Lisa disegna una principessa con un vestito dai colori vivaci e poi commenta “Questa è la verità, perché la verità è bella”. A parte, disegna la bugia, scarabocchi senza senso, “perché”, lei spiega, “la bugia è brutta”. Luca sorprende tutti e disegna due bocche, l’una socchiusa, l’altra più aperta. Una nota di disappunto nello sguardo degli adulti presenti. Ma a chi meravigliato guarda il suo disegno, lui fa notare che “è sempre la bocca che dice le bugie e la verità”. 
Maria alla lavagna rappresenta graficamente una divisione 36:4.
Le ragioni di un risultato nel disegno di 36 pullover e 4 bambini.
Maria distribuisce i pullover ai bambini e spiega che la divisione non ammette ingiustizie, divide sempre in parti uguali.
Antonio dice che la divisione è una giustizia che non fa differenze e quindi non sa amare. Se uno dei quattro bambini è povero e non ha di che vestire, non è più giusto dare a lui i 9 pullover? 
…Raggiungiamo col pulman un agriturismo a valle e poi giù insieme a camminare in un viottolo di campagna che porta alla fattoria.
“Come si fa la marmellata”: l’agronoma spiega alla scolaresca che per fare una buona marmellata occorre che le mele siano buone. E poco importa se sulla buccia ci sono dei segni che ne rovinano il colore. Le mele belle, quelle che al supermercato vengono esposte tutte della stessa grandezza, dai colori lucenti che quasi ci si può specchiare nella buccia, è bene sapere che vengono coltivate con pesticidi vari e infine tirate a lustro con la cera, che l’acqua scivola giù e non le bagna e anche il sapore finisce per essere altro.
Luca: «Se una cosa è bella può anche non essere buona».
Simone:«Ma se è buona allora è anche bella».
Valeria: «Come le persone»
Il bello come manifestazione del bene: la teoria platonica del bello. Il tema è di grande rilievo.
Le domande dei bambini sono dotate di grande forza filosofica.
Certi motivi sono più espliciti, altri meno; alcuni più evidenti, altri meno. Importa saperli ascoltare come i naviganti che sanno ascoltare e capire le voci del mare. Il parlare dei bambini rappresenta una grande provocazione per il pensiero dell’adulto.
Qualcuno richiama i bambini al silenzio. 
Chi saprà cogliere queste provocazioni?
Chi saprà abitare le domande dei bambini?
Penso che il nodo della questione stia tutto qui.
Nonni che si lasciano catturare dai perché dei bambini. L’erranza del pensiero nei luoghi delle diversità generazionali. Un nonno racconta “Il mio nipotino chiedeva l’altra sera –Perché la luna sta in cielo così bella?- Poi abbiamo parlato a lungo, se la bellezza è in colui che guarda o nella cosa che si guarda”. La condizione di nonni determina una esplosione di emozioni, bandite, messe a tacere fino ad allora. Ma l’età e l’esperienza finalmente consentono di aprire le porte alla tenerezza, di accoglierla nella relazione come sentimento che aiuta a capire l’altro.
I genitori quando fanno i genitori non lo sono. E gli insegnanti sono insegnanti quando non lo sono affatto. I nonni sono ottimi genitori perché non lo sono. E saranno ottimi insegnanti quelli che non faranno gli insegnanti. I nonni regalano ai bambini il proprio tempo, più di quanto possano o sappiano fare i genitori. Fare filosofia con i bambini è pensare insieme…ai bambini. Pensare insieme ai bambini vuol dire smettere i panni di insegnanti o genitori per essere semplicemente nonni.
Allora impariamo a vivere un tempo diverso con i nostri bambini.

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Pina Montesarchio

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