Questo articolo è in realtà il riadattamento di un post sul mio blog personale ma la voglia di condividere con l’ampio pubblico di utenti di Psicolab un caso aziendale da manuale è forte, anche perché è la dimostrazione di come, anche nel nostro Paese, ci siano brand che si dimostrano sensibili alle innovazioni in termini di comunicazione e coinvolgimento attivo della propria comunità di fedeli.
Tutto parte dalla lettura di uno splendido libro, secondo me epocale, come “Marketing Tribale” di Bernard Cova, professore di marketing all’Euromed di Marsiglia e alla Bocconi di Milano, da molti considerato il caposcuola dell’approccio tribale, precedentemente teorizzato a livello sociologico da Maffesoli, nel marketing moderno.
Riassumendo in poche parole l’illuminato trattatello (anche se così faccio un torto a Cova per cui vi consiglio vivamente di comprarlo e leggerlo per vostra cultura personale), partendo da considerazioni sociologiche sugli attuali comportamenti post-moderni degli individui e sulle relazioni interne alle nuove strutture sociali, offre al marketing manager i nuovi strumenti, leve e modalità con cui approcciarsi ai nuovi mercati, i cui membri sono caratterizzati da:
- il senso di appartenenza a gruppi o “tribù” che si costituiscono sulla base di un forte legame emotivo e culturale con uno specifico prodotto/servizio (che assume il ruolo di nuovo totem)
- la capacità di condividere la loro passione e soprattutto le loro competenze in merito ai suddetti prodotti/servizi
- l’estrema facilità e convinzione con la quale influenzare i propri processi decisionali di acquisto e di quelli di nuovi potenziali consumatori
Non prendere in considerazione questi nuovi aspetti non solo pone il brand in serio pericolo, ma anche l’intero business dell’azienda, miope alle ripercussioni di una comunicazione considerata “irritante” ed “invasiva” per la tribù-cliente o potenziale tale.
Uno dei brand che invece ha capito come relazionarsi con la propria tribù di “adoratori” è Barilla che per Il Mulino Bianco ha creato un sito che permette, alla comunità legata al prodotto e al marchio, di proporre in piena libertà nuove idee, modifiche a prodotti esistenti o la richiesta di reintroduzione di vecchi prodotti ad oggi fuori produzione. Gli strumenti propositivi concessi si focalizzano sulle classiche leve di marketing mix ossia prodotto, packaging, promozioni e punti vendita (a cui si aggiungono anche consigli soprattutto in merito all’impegno sociale e alla sensibilità verso i temi ambientali). Inoltre è stato attivato un sistema di votazioni incrociate tra partecipanti che consente di valorizzare le idee che risultano maggiormente condivise dalla comunità e che possono essere successivamente prese in considerazione dall’azienda per valutarne le potenzialità di sviluppo. Infatti, come si legge sul sito, sembra che Il Mulino Bianco voglia fare le cose proprio per bene, condividendo con la comunità le informazioni relative alle successive fasi di pre-valutazione da parte della Direzione (AD, Direttore Generale e Direttore Marketing) delle idee più votate, analisi costi/benefici, test di mercato ed eventuale realizzazione.
La cosa interessante è che Barilla ha innanzitutto separato in maniera netta la mission “partecipativa” del sito da quella più tipicamente commerciale dell’azienda e inoltre ha soddisfatto in maniera coerente il primo compito che caratterizza un’autentica proposta di marketing tribale: l’ancoraggio endotico.
Quest’ultimo non è altro che l’ancoraggio dell’offerta futura a quattro concetti fondamentali:
1 – socializzazione – il valore del legame è assicurato dal coinvolgimento attivo dei componenti della tribù che hanno carta bianca per discutere le proprie idee e per valutarle esclusivamente all’interno della comunità (senza quindi intromissioni da parte dell’azienda)
2 – temporalizzazione – viene data la possibilità di riproporre prodotti a cui la comunità è legata ma che non sono più in produzione. Il fatto che vengano presi in considerazioni questi “miti” alimentari a cui sono associate emozioni personali legate al gusto e all’estetica e al ricordo dei tempi passati con la famiglia, rendono sempre più radicato il posizionamento anche temporale del Mulino Bianco nella mente e nella lista di valori dei membri della tribù.
3 – spazializzazione – il luogo rimane stabilmente rappresentato da quello originale e bucolico del mulino, sinonimo simbolico di autenticità e naturalezza che continua ad essere ben presente sia nel brand che nell’immaginario dei componenti della tribù.
4 – naturalizzazione – l’azienda conferma che i valori e le regole su cui si basa la produzione del Mulino Bianco devono rimanere intatte e, in questo modo, i membri della tribù sono rassicurati dal fatto che questo valga anche per la qualità degli in gradienti utilizzati per la creazione dei loro “miti” alimentari.
Adesso bisogna vedere se Barilla continuerà correttamente nel soddisfare i successivi compiti ossia quello di:
- enucleare e inserire ulteriori dettagli significativi
- celebrare i rituali intorno al prodotto
al fine di dare continuità al processo di valorizzazione del legame con il prodotto/brand.
Ma quanto fatto da Barilla è già un ottimo esempio di come procedere per cominciare a creare una relazione forte con quelle comunità che vedono nel nostro brand e nei nostri prodotti/servizi un valore aggiuntivo rispetto a quello puramente commerciale.
Per esperire pienamente e valutare oggettivamente quanto vi ho raccontato provate ad andare su www.nelmulinochevorrei.it.
Il mil blog invece lo trovate qui: http://customerking.wordpress.com
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