fbpx

Disturbi e Psicopatologie

LO STEREOTIPO DEL FEMMINICIDIO

Uno dei più celebri dizionari della lingua italiana, il Devoto-Oli, definisce il termine femminicidio come “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
L’11 novembre 2023 Giulia Cecchettin viene uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Si erano lasciati a causa della gelosia ossessiva di lui. Le diceva che senza di lei la sua vita non aveva più senso. “Ho ammazzato la mia fidanzata, ho vagato sette giorni perché cercavo di farla finita […] ma non ho avuto il coraggio”. Sono le parole del 22enne messe a verbale dalla polizia tedesca.

Ora la domanda è: questo è un caso di femminicidio, oppure un caso di omicidio dovuto a problemi psicopatologici? Per poter rispondere, dobbiamo fare un passo indietro

Come può un uomo fare del male o addirittura uccidere la propria compagna?
Secondo la psicologia ciò che spiega i nostri pattern comportamentali nell’ambito delle relazioni significative è lo stile di attaccamento.
Tutti noi impariamo a relazionarci fin dalla nascita con le nostre figure di attaccamento (Fda), ovvero, con chi si prende cura di noi; questi primitivi apprendimenti divengono presto (già dai primi anni di vita) schemi comportamentali stabili che guidano la nostra vita in maniera più o meno inconscia. Si può facilmente immaginare quindi come i bambini che sono stati sottoposti ad abusi, abbandoni e trascuratezza in periodi critici dello sviluppo avranno grandi difficoltà a relazionarsi da adulti, perché le rappresentazioni mentali di sé e delle Fda risultano negativamente distorte a causa dei vissuti traumatici.
Ne è la prova il fatto che dalle emergenti evidenze scientifiche risulta sempre più chiara una correlazione fra stili di attaccamento disfunzionali e sviluppo di psicopatologie, in particolare i disturbi di personalità (Fonagy, 1997).
Scrive Spitz (2009): “i bambini deprivati affettivamente crescono poco fisicamente e pochissimo sul piano intellettivo”.
Alla luce di tali informazioni, la questione del femminicidio acquisisce un volto nuovo: non più una questione di genere, ma una questione di clinica psicopatologica. Non si parla di donne uccise in quanto donne, ma di uomini che uccidono la loro principale Fda in quanto disturbati.
Quindi, probabilmente, la soluzione non è da cercarsi nella sensibilizzazione sulla parità dei sessi, quanto nella sensibilizzazione sull’igiene mentale.

Una scienza poco conosciuta ed estremamente significativa in questioni del genere è la vittimologia: trattasi dello studio delle caratteristiche personologiche della vittima.
Posto che andare a cercare le colpe della vittima risulta non tanto inesatto, quanto estremamente stupido, lo scopo della vittimologia è piuttosto andare ad indagare quali caratteristiche rendono una persona maggiormente esposta a diventare, appunto, una “vittima”.
L’idea dell’uomo perfetto che si sveglia un giorno e uccide la compagna è tanto romanzata quanto inverosimile: possiamo affermare ragionevolmente che almeno la maggior parte dei casi di femminicidio sia stato preceduto da una qualche forma di violenza.
I dati statistici però mostrano che solo nel 16,7% dei casi il femminicidio è stato preceduto da “violenze note”, l’8,7% delle quali denunciate alle forze dell’ordine (N. 153 – febbraio 2017).
Questi dati fanno tristemente pensare che le violenze domestiche siano spesso nascoste dalla connivenza della vittima.
Probabilmente anche nella vittima il problema risiede nello stile di attaccamento, che appare disturbato, anche se in maniera opposta rispetto al carnefice. Così queste dinamiche rendono i due soggetti, vittima e carnefice, due pezzi di un puzzle che vanno tragicamente ad incastrarsi alla perfezione.
Ne sono la dimostrazione i messaggi vocali di Giulia Cecchettin che girano sul web: «sono contenta che lui stia bene quando ci vediamo, ma davvero, vorrei che sparisse, […] ma questa cosa a lui non la posso scrivere, perché credo che darebbe di matto […] Mi dice che è super depresso […], che vorrebbe uccidersi e che io sono l’unica luce delle sue giornate».
Certo, le dinamiche relazionali sono sempre complicate, soprattutto da ragazzi, ed è facile giudicarle dall’esterno. Ma quello che questi vocali possono insegnarci è che probabilmente dare degli strumenti (psicologici e giuridici) alle vittime per difendersi da questi aggressori sarebbe più costruttivo dell’impartire generiche “nozioni anti-patriarcato”.

Italia, 2023. I bambini crescono ancora sentendosi dire “non piangere come una femminuccia” e leggendo testi scolastici colmi di locuzioni ormai desuete quali “la mamma cucina e stira, il papà lavora e legge”. Per non parlare di quel genere di insegnamenti che nascono con l’intento di proteggere il gentil sesso: “le donne non si toccano nemmeno con un fiore”. Una frase che si traveste da paladina ed invece rimarca una gerarchia di potere all’interno del quale tutti i comportamenti violenti sono appannaggio degli uomini, il che sottintende che ci sia tutta una categoria di cose che non si conformano alle donne, perché non è nella loro natura, come tutti i comportamenti aggressivi o che prevedono forza fisica. Quindi la donna non va toccata (perché è indifesa), e chi fa battaglia è solo l’uomo (perché la donna non ne è capace).
Allora come giustificare i dati del Centers for Disease Control and Prevention (2017) secondo i quali più di 1 uomo su 38 è stato vittima di stupro? Anche se la maggior parte degli abusanti è di sesso maschile, ci sono dati che riportano abusi perpetrati da donne. La coercizione può avvenire mediante l’uso di forza fisica o perché la vittima è incapace di esprimere un consenso esplicito (ad esempio è incosciente o sotto l’effetto di alcool e droghe). Per questo tipo di violenze, è stato riscontrato che i perpetratori sono più spesso donne (79-82%).
Per non parlare di un’altra pericolosissima forma di violenza sottovalutata: quella psicologica. Umiliazioni, stalking, soprusi e abusi colpiscono anche gli uomini. Spesso si tratta di persone con bassa autostima, che tendono a sacrificarsi per i propri cari e che probabilmente hanno già vissuto episodi simili nella famiglia d’origine. Tra le violenze segnalate ci sono imposizioni, mortificazioni e ricatti.
Inoltre, alcuni stereotipi largamente diffusi sulla sessualità maschile quali l’idea che gli uomini siano raramente vittime d’abuso, a causa dell’erronea credenza che sia fisicamente impossibile stuprare un uomo e che, qualora questo avvenga, egli abbia in qualche modo acconsentito, fortificano la percezione, da parte di chi viene sopraffatto, di peccare a livello di virilità. La diretta conseguenza è che il numero di denunce di abusi sessuali da parte del genere maschile è davvero basso.

Una volta giunti a tali consapevolezze, c’è ancora qualcuno che non si spiega perché avvengano certi crimini? Ma più di tutto, c’è ancora qualcuno che ritenga funzionale parlare di femminicidio, rafforzando un’immagine di donna debole, indifesa e sottovalutata per il semplice fatto di appartenere al genere femminile? O forse sarebbe più utile iniziare da subito ad abbandonare questa cultura vacua in favore di un’educazione diversa per gli adulti di domani? Urge un importante lavoro di formazione emotiva, un percorso di riconoscimento delle paure e delle debolezze che accompagnano tutti in quanto esseri umani, a prescindere dal sesso. Servono psicologi nelle scuole, programmi scolastici che includano l’ora di “educazione emotiva”, programmi di formazione per i fornire preventivamente i genitori degli strumenti psico-emotivi per creare un legame sano coi figli e per evitare il rafforzamento degli stereotipi nel loro percorso di crescita. Serve la forza di ammettere che la colpa è di tutti, e che tutti possiamo cominciare da subito a migliorare la situazione.

Picture of Martina Passanisi

Martina Passanisi

Aggiungi commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.