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Disturbi e Psicopatologie

Ecoprassia ed ecolalia nel quadro nel patologico schizofrenico

L’ecoprassia nel quadro patologico schizofrenico
Il significato simbiotico dell’imitazione compulsiva

La disorganizzazione tipica del quadro schizofrenico, oltre a comportare uno scadimento del quadro cognitivo e della costruzione del pensiero, si mostra un fattore invalidante della condotta comportamentale, cui conferisce caratteristiche disfunzionali, sensibilmente incoerenti e inadeguate al contesto.
Uno dei sintomi tipici di questa disorganizzazione può essere identificata nella produzione di ecolalie- ripetizione ricorsiva di parole pronunciate da altri- e di ecoprassie- imitazione continuativa di movimenti e gestualità altrui. Si tratta di sintomi compulsivi e incoercibili che spingono il paziente a porsi in una dimensione rigidamente speculare del comportamento dell’altro, del quale vengono imitate pedissequamente le azioni o le parole.
L’imitazione non possiede, per di più, alcuna connotazione rielaborativa o critica. Non risiede nella stessa alcun intento imitativo, effettuato al fine precipuo di assimilare un comportamento per inserirlo all’interno della propria sfera di cognizioni e competenze, in una prospettiva di assimilazione piagetiana. Al contrario: l’imitazione è di per sé ripetitiva e afinalistica, costruita su di un contesto di inconsapevolezza metaforica e senza alcuna finalità di apprendimento.
Il soggetto imita l’azione dell’altro come se ne percepisse l’eco all’interno del Sé, ma in questa imitazione realizza una mera scarica motoria, l’espulsione di un’angoscia non verbale che trova nell’agito l’unica modalità espressiva. Più simile, per la verità, ad una mera evacuazione pulsionale.
Come intuibile, si tratta di un comportamento che, oltre a limitare il funzionamento cognitivo e assertivo, rende difficoltose la prosecuzione delle relazioni sociali e la stessa applicazione di un trattamento rieducativo, la cui attuazione viene spesso inficiata dall’incoercibilità del meccanismo imitativo, riprodotto anche in sede terapeutica.

L’ecoprassia secondo la psicodinamica

Nel tentativo di fornire un quadro eziologico al fenomeno di imitazione compulsiva nello schizofrenico, la psicodinamica ha fatto riferimento ad una convinzione fusionale, di natura prettamente psicotica, in base alla quale il soggetto non riesce a percepire la distanza tra il proprio Sé e quello di un oggetto esterno, al quale si crede unito in una continuità simbiotica e incoercibile.
Questa ideazione delirante dà vita ad una rappresentazione del Sé e del Sé con l’altro in cui i rispettivi confini identitari e corporei sono del tutto annullati. Il soggetto schizofrenico imita il comportamento dell’altro, dunque, perché si sente letteralmente l’altro: non si tratta soltanto di un legame indissolubile, ma dell’autentica impossibilità di tracciare una linea di confine tra la propria e l’altrui dimensione esistenziale (Mahler, 1968).
Tale percezione patologica potrebbe avere origine in una disfunzionalità diadica che non ha consentito un’adeguata separazione con l’oggetto materno, condannando il Sé del bambino a percepirsi ad un’autopercezione simbiotica e letteralmente sovrapposta a quella della madre.
Bick (1968) parla di identificazione adesiva come di un meccanismo di difesa imperniato sul controllo assoluto del corpo dell’altro, avvertito come uno strumento di appoggio indispensabile. Imitando il gesto dell’altro, nello specifico, il bambino non cerca soltanto un contenitore alle proprie angosce e al proprio Sé, ma cerca anche di aggrapparsi letteralmente a qualcosa per sentirsi tenuto insieme, integrato. Per non cadere in pezzi (Meltzer, 1967).
L’intento dell’imitazione ecoprassica potrebbe dunque essere volto a dominare un’angoscia abbandonica persecutoria che vede l’impossibilità di ammettere un contatto relazionale diverso da quello simbiotico, nel terrore che qualsiasi evento separativo potrebbe consentire l’attuazione di terrifiche angosce di morte.
Nel pensiero psicotico, l’angoscia di disintegrazione non è gestibile se non con la fusione totale del Sé von l’altro, fusione che viene difesa, protetta e reiterata con una percezione simbiotica ribadita dall’imitazione. Aderire sensorialmente ad un oggetto, come si trattasse di una seconda pelle, serva a ripristinare l’integrità e la coesione del Sé messa in pericolo da percezioni sabotanti di un Io non coeso e non evoluto. Al contempo, l’idealizzazione della diade madre-bambino costituisce lo strumento difensivo contro un’angoscia di frammentazione in assenza della quale il Sé rischierebbe di andare totalmente in pezzi: alla luce di ciò, le compulsioni imitative dello schizofrenico possono essere facilmente interpretabili come il tentativo di ribadire, tramite l’agito, il consolidamento di un contesto diadico sincretico, affettivamente e fisiologicamente indifferenziato (Pao, 1984). Uno strumento relazionale per sentirsi legato a quell’oggetto materno che percepisce nel Sé e dentro al quale continua a percepirsi, agendo questo legame in un’esteriorizzazione compulsiva e inevitabilmente patologica.

BIBLIOGRAFIA

E. Bick (1968), The experience of skin in early object relations, “Int. J. Psychoanal.”, 49: 484-486;
MAHLER, M. (1968), Infantile Psychosis, New York: International Universities Press, trad. it. Psicosi infantili, Bollati Boringhieri, 1975.
D. Meltzer (1967), The psycho-analytical process, Perthshire, Scotland, Clunie Press;
Pao P. N. (1984)Disturbi schizofrenici. Raffaello Cortina, Milano.

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m. rebecca farsi

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