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L’evoluzione della parola a partire dal gesto

La capacità di parola sembra essere il risultato secondario dell’evoluzione del sistema neuronale sotteso alla categoria di azioni motorie definite goal-directed (dirette ad un fine). Si tratta di una gestualità raffinata e complessa, come quella necessaria per afferrare e manipolare un oggetto, diversa da quella naturale che accompagna le attività comunicative umane.
Parola e gesto dipendono dalla neocorteccia, soprattutto dall’emisfero sinistro. In breve, i movimenti fonoarticolatori necessari a pronunciare le parole sono sottesi dalle stesse strutture cerebrali che consentono di attuare movimenti manuali complessi e raffinati.
Al contrario, il resto della comunicazione non verbale viene mediata da strutture più antiche. Lo stesso si può affermare, in generale, per la vocalizzazione non dotata di significato e per quella connessa a stati emotivi alterati. Nell’Uomo, infatti, il lobo limbico (evolutosi con i Mammiferi e che sottende l’espressione emotiva) fa sentire la sua influenza in situazioni emotivamente coinvolgenti, inducendo l’emissione di espressioni simboliche di scarso significato come esclamazioni, imprecazioni e volgarità. Soltanto attraverso l’intervento della neocorteccia le nostre parole diventano indipendenti dai fattori emotivi. La mancanza di un tale controllo motorio sulle vocalizzazioni è la maggiore differenza fra vocalizzazioni dei Primati e linguaggio umano.
E’ ipotizzabile che pressioni selettive a favore di una mano particolarmente sviluppata nell’eseguire movimenti raffinati abbiano condotto ad una specializzazione cerebrale, che a sua volta è stata sfruttata dalla selezione quando è stato il momento di disporre di un sistema di comunicazione adatto alle attività venatorie. Tale pressione selettiva poteva provenire solo dalla necessità di produrre strumenti, attività che richiede l’esistenza di un’idea, una meta cui tendere, un modello che l’individuo realizza attraverso una serie di operazioni secondo un preciso ordine.
In effetti, l’emisfero sinistro sembrerebbe specializzato per la processazione di stimoli uniti in sequenza, indipendentemente dalla natura di tali stimoli. Questo è testimoniato dagli studi comparativi fra linguaggio orale e linguaggio segnico. Nonostante il diverso canale di trasmissione (visivo-gestuale nel linguaggio dei segni, vocale nel parlato), le somiglianze fra i due tipi di linguaggio sono considerevoli. Entrambi possiedono un limitato numero di “unità minime” prive di significato (i fonemi e il loro equivalente segnico, i chiremi), un lessico ed un insieme finito di regole per combinare le unità. A livello ontogenetico, i bambini non udenti possiedono intatta la capacità di acquisire una lingua, ma sono impossibilitati a sfruttare il canale uditivo. Se la stimolazione linguistica viene veicolata attraverso un canale non deficitario, apprendono la nuova lingua mostrando un ritmo ed una modalità di sviluppo identici a quelli dei bambini udenti. Anche i non udenti necessitano di una stimolazione precoce. Se questo non avviene e l’apprendimento viene ritardato, i soggetti mostrano un’abilità linguistica ridotta e, come nel caso di adulti che cerchino di imparare la seconda lingua, non riescono a liberarsi da un persistente “accento straniero” e gravi errori grammaticali. Un altro elemento simile tra le due popolazioni è la fase di balbettio che precede l’acquisizione del linguaggio. Anche gli audiolesi mostrano di “giocare” con i gesti, di esercitarsi alla produzione gestuale come i bambini normoudenti fanno con le parole e i suoni.
Un interessante esperimento è quello condotto da Bellugi. Ai soggetti veniva chiesto di “tamburellare” (tapping, in inglese) alternativamente con il dito destro e sinistro, mentre erano impegnati in compiti linguistici (Pinker, 1997). Il risultato fu che, indipendentemente dalla modalità sensoriale (orale o segnica), i soggetti avevano difficoltà quando l’azione motoria era affidata al dito destro (associato all’emisfero sinistro).
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, ossia che i gesti e la configurazione di gesti del linguaggio dei sordomuti sia tipica dell’emisfero destro (che si occupa dell’elaborazione spaziale e globale degli stimoli), la gestualità, quando viene utilizzata nella sua funzione linguistica, è di pertinenza dell’emisfero sinistro.
Sono stati inoltre condotti alcuni studi su soggetti sordomuti affetti da patologie afasiche. I disturbi del linguaggio nei non udenti sono relativi a lesioni dell’emisfero sinistro. E’ quindi ulteriormente evidente che l’emisfero sinistro possiede una predisposizione biologica per tutte le funzioni linguistiche, indipendentemente dalla modalità di trasmissione utilizzata.

Linguaggio come strumento per “fare cose”

Seguendo un’interessante ipotesi di Goldschmidt (N.D.), quattro sono i fattori da tenere presente quando si parla di evoluzione del linguaggio: cervello, postura eretta, capacità di parlare e di “fare cose” (make things).
Ogni caratteristica, per essere considerata adattativa, deve condurre ad un beneficio maggiore del costo che arreca, calcolato in base al contesto ecologico. Il cervello è molto costoso da mantenere e da utilizzare. Necessita di una struttura di protezione (il cranio), di una speciale temperatura di controllo e di una grande quantità di energia per il suo funzionamento. Inoltre, la necessità di un cervello progressivamente più grande ha portato ad un costo molto elevato, la difficoltà del parto. La postura eretta, a sua volta, è costosa. Richiede una ristrutturazione della colonna vertebrale, flessibile e bilanciata, ma ininfluente per quanto riguarda le capacità di aggredire e difendersi nel proprio ambiente naturale.
Un’ipotesi interpretativa diffusa ha suggerito che la postura eretta consenta di avere una capacità di controllo sull’ambiente caratterizzato da vegetazione bassa, liberando gli arti per il trasporto di oggetti o altro: il costo però non è compensato da un beneficio reale e tangibile. Altri animali che vivono nella prateria o nella savana dimostrano un’elevata capacità di monitoraggio dell’ambiente, ottenuta con costi minori. Inoltre, la capacità di attaccare o di difendersi è maggiormente compatibile con l’andatura quadrupede piuttosto che con quella bipede.
Una delle recenti ipotesi sull’origine del linguaggio indica nella riduzione dei conflitti e nella promozione della coesione e dei legami di amicizia la funzione adattiva della parola (Hauser, 2002). Il linguaggio avrebbe consentito la sopravvivenza riducendo l’aggressività dei maschi e favorendo la cooperazione. Ma, in questo caso, si può notare che la musica, la danza e le arti in generale, insieme alla comunicazione non verbale (contatto fisico, vicinanza, sguardo, bacio, carezza etc.) funzionano meglio nel ridurre le tensioni e favorire la coesione sociale. Questi elementi hanno molto in comune con la comunicazione animale, più del linguaggio verbale.

E’ soltanto quando si uniscono tutti i dati a disposizione che si comprende il reale valore che ha avuto il linguaggio alle origini dell’Uomo. Con arti flessibili, una presa di precisione e soprattutto un cervello sviluppato, i primi ominidi potevano evitare i predatori ed attaccare con successo le prede. Nessun singolo elemento, preso separatamente, ha un valore adattativo elevato tale da spiegare perché vi sia stata la necessità di un’evoluzione rispetto alla condizione precedente; il quadro diviene completo e valido soltanto quando vi si inseriscono tutti gli elementi: postura eretta, mano flessibile, cervello sviluppato, linguaggio per “fare cose”.
In base ai dati raccolti, il linguaggio si configura come uno strumento di sopravvivenza e come tale la sua funzione comunicativa, relazionale e sociale passa in secondo piano.
Considerando poi la frequenza dei fraintendimenti e la difficoltà di comprensione reciproca nella comunicazione verbale, si può considerare come funzione primitiva e principale del linguaggio quella di dare ordini o informazioni, più che quella di favorire le relazioni sociali.
Questa nuova interpretazione della nascita del linguaggio conferisce ad esso un nuovo valore e propone un nuovo modo di vedere le relazioni fra capacità comunicativa e sopravvivenza.

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Carmen Innocenti

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