La comunicazione umana, che spesso viene identificata tout court con il linguaggio verbale, non può essere considerata un mero esercizio culturale di una specie evoluta. Dal punto di vista evolutivo, comunicare ha significato, in tempi passati, vincere la lotta per la sopravvivenza.
Nel percorso evolutivo dell’essere umano, rispetto agli altri animali, si nota come esso abbia sostituito alla forza fisica, la forza della capacità cognitivo-emotiva, riuscendo a battere predatori e prede con astuzia ed immaginazione creativa. Ma questo sviluppo cognitivo non sarebbe stato possibile senza l’evoluzione della comunicazione, in generale, e della capacità di parola, in particolare. La comunicazione verbale, secondo le ipotesi scientifiche di molti antropologi, ha permesso ai primi ominidi di progettare e realizzare efficaci battute di caccia e quindi di rifornire la propria prole di cibo ad alto contenuto energetico e proteico, come la carne.
Secondariamente, la comunicazione ha rappresentato un “collante” sociale per le prime comunità di ominidi, e il prerequisito per la nascita della cultura. Più specificamente, la possibilità di codificare le esperienze in forma scritta e di renderle disponibili per le successive generazioni ha permesso alla nostra specie di avere a disposizione un bagaglio culturale fondamentale. Attraverso questo, un essere umano, fin dalla nascita, non ha la necessità di apprendere autonomamente tutte le informazioni utili per la sopravvivenza, potendo disporre di esperienze ed informazioni già codificate, da assimilare, trasformandole e modificandole in base alla propria personale esperienza e alle proprie capacità. Pur presente anche in alcuni Mammiferi simili a noi, questo processo negli esseri umani è particolare ed eccezionale per la modalità e la velocità con le quali si dipana.
Oggi come milioni di anni fa, nonostante l’evidente trasformazione sociale e culturale della nostra specie, la comunicazione ha mantenuto la sua funzione originaria. Essa consente di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente (fisico e relazionale) attraverso un’opera di costante reperimento di informazioni. Poiché ogni individuo comunica, anche quando non lo fa intenzionalmente, è possibile per ciascuno reperire costantemente informazioni sui comportamenti e soprattutto sulle reazioni degli altri e dell’ambiente rispetto ai propri comportamenti. Le informazioni così raccolte diventano schemi cognitivi, che consentono di formulare giudizi sulla realtà che ci circonda e sul significato degli eventi che ci accadono quotidianamente. Inoltre, tali schemi vengono utilizzati come strumenti di previsione del comportamento altrui. L’attività di previsione implica infine la possibilità di adattare il proprio comportamento (non solo quello comunicativo) alla situazione, al fine di ottenere gli obiettivi vitali per ciascun individuo.
In sostanza, cervello e comportamento sono stati modellati sulla base di generali principi di funzionamento al fine di consentirci l’adattamento alla realtà.
Le problematiche comunicative sorgono, di solito, dal fatto che il nostro sistema nervoso centrale tende a stabilizzare le prime esperienze e i primi schemi cognitivi, perdendo con il passare del tempo la flessibilità caratteristica delle fasi evolutive precoci.
A differenza della comunicazione animale, la comunicazione umana consente di indurre negli altri non soltanto un reciproco riconoscimento ed identificazione, come nel caso in cui un animale percepisce lo stato di attivazione aggressiva di un altro animale, ma anche una serie di pensieri nuovi. Mentre un animale maschio, recepito lo stato di disponibilità sessuale della femmina, reagisce con l’attivazione immediata del comportamento di corteggiamento e accoppiamento, l’essere umano possiede uno schema comportamentale mediato dalla cognizione. La maggior parte delle sue reazioni non è basata sullo schema stimolo-risposta, al contrario di quanto avviene per quasi tutte le altre specie ferine, ma sulla formazione di rappresentazioni mentali e sull’attribuzione di significato agli eventi. Inoltre, la dimensione emotiva rende ancor più flessibile e variabile il comportamento, in quanto dipendente da personali percezioni e sensazioni. Di conseguenze, lo stesso evento può elicitare reazioni diverse, a seconda delle rappresentazioni mentali ed emotive che attiva.
Un’altra funzione della comunicazione è quella di integrazione dei sistemi micro-relazionali (famiglia, lavoro, gruppi informali, gruppi amicali etc.), e del sistema sociale nel suo complesso. Perché è importante questa funzione integrativa? Perché, nonostante l’apparente diversità dell’essere umano dal resto del panorama animale, la soddisfazione dei bisogni primari (fame, sete, accoppiamento etc.) e secondari (meno biologici e più culturali; vedi Maslow, 1954) può avvenire, nell’Uomo, soltanto attraverso l’interazione con altri individui. Il genere umano rappresenta la specie sociale per eccellenza, ma, più in specifico, si potrebbe dire che l’essere umano è “interdipendente” rispetto agli altri membri della sua specie: nessun individuo può sopravvivere e realizzarsi senza la presenza e l’assistenza, diretta o indiretta, di questi ultimi.
La soddisfazione dei bisogni primari dell’infante è uno dei fattori che definiscono questa interdipendenza, ma anche la realizzazione dei bisogni secondari, quali, ad esempio, il bisogno di esercitare le proprie capacità e il bisogno di essere accettati o di essere lodati (Maslow, 1954), non può prescindere dalla presenza degli altri. E’ per questo motivo che la comunicazione ha un’importanza fondamentale, riuscendo a stabilire e mantenere un collegamento fra gli individui, soprattutto attraverso la dimensione emotiva ed affettiva.
In sintesi, la comunicazione, se è efficace, favorisce una sorta di scambio di favori, nel senso che un individuo può realizzare il bisogno di un altro e, a sua volta, può veder soddisfatto un proprio desiderio attraverso la relazione con questo. Le relazioni che si strutturano attraverso tale attività di scambio sono la manifestazione più evidente del senso che la comunicazione assume nella nostra specie: adattarsi all’ambiente e rendere coesa ed integrata la comunità umana. La funzione di integrazione dei micro-sistemi sociali è dunque compresa in quest’ultima, più completa, finalità.
Per comprendere appieno ciò di cui stiamo parlando occorre distinguere l’informazione dalla comunicazione vera e propria (Corsi, 2002). L’informazione è il risultato dell’insieme delle conoscenze e delle nozioni di cui tutti noi, come si diceva, disponiamo (in maniera più o meno diretta). La comunicazione, invece, è un processo che viene attivato da un’azione relazionale. E’ attraverso quest’azione relazionale che trasmettiamo le informazioni: così, anche la trasmissione più oggettiva di informazioni diviene comunicazione perché rivisitata nella prospettiva soggettiva, in cui la rielaborazione cognitiva dei contenuti veicola anche elementi personali, emotivi ed affettivi, relativi alla realtà soggettiva.
Quando c’è comunicazione, e non mera informazione, si entra nel mondo cognitivo ed affettivo dell’interlocutore, per condividere una certa visione del mondo e delle cose. Questo dà l’avvio ad un processo di modifica e di costruzione della nostra come dell’altrui realtà di riferimento (fatta di schemi mentali).
Ad esempio, nella situazione di innamoramento è possibile decidere di entrare o di non entrare in comunicazione con l’altra persona. Se decidiamo di non farlo, la nostra situazione emotivo-affettiva interiore resta un evento psicologicamente forte ma non rilevante dal punto di vista sociale. Qualora invece vogliamo entrare in relazione comunicativa con l’altro iniziamo a trasformare la nostra condizione psicologica in una serie di messaggi con contenuti di natura emotiva ed affettiva. Questi vengono modificati continuamente, in funzione dei comportamenti e delle reazioni che l’altro dimostra verso di noi. In questo modo costruiamo una realtà sociale comune.
Quindi, la comunicazione non è un semplice atto linguistico, ma è un’azione inserita in un processo relazionale, che favorisce la trasformazione dei comportamenti, degli atteggiamenti e degli stati emotivi, così come dei modi di lavorare.
Dal punto di vista lavorativo, poiché la comunicazione consente l’integrazione nei micro-sistemi sociali, essa può favorire od ostacolare una buona organizzazione delle attività, e, in ultima analisi, la riuscita degli obiettivi dell’azienda e dei lavoratori in essa. In effetti, molte attività imprenditoriali falliscono per motivi legati al funzionamento e all’efficacia della comunicazione, più che per problemi puramente economici. Molto spesso, infatti, nelle aziende vige un sistema di trasferimento di informazioni più che una comunicazione efficace; le posizioni gerarchiche rappresentano il punto di riferimento stabile e privilegiato, e in base a queste si modella la strutturazione delle interazioni fra individui. L’attività comunicativa richiede una certa dose di energie e di volontà di condividere una relazione, energie e volontà che non sono alla portata di un’organizzazione che dipenda dalla gerarchia per la gestione dei rapporti interni. Il concentrare gli sforzi in altre direzioni, trascurando la componente relazionale delle interazioni fra individui o gruppi genera numerosi problemi, che influenzano tutta l’organizzazione aziendale.
In conclusione, fra comunicare qualcosa e comunicare con qualcuno c’è la stessa differenza che sussiste fra colpire i barattoli con una pallina, al luna park, e vincere un premio. Ci sono dei vincoli tecnici, che attengono all’operazione fisica che compiamo (vista e sistema muscolare funzionante, velocità e precisione del movimento etc.), alla pallina (peso e dimensioni) e al bersaglio (distanza, grandezza etc.). Ma l’ottenimento della vittoria finale non è direttamente connesso alla conoscenza e al buon utilizzo di questi elementi. C’è qualcosa di più, che va oltre gli aspetti tecnici.
Per vincere il premio al luna park, non solo un lancio deve essere perfetto, ma lo devono essere anche i successivi. La fortuna non può essere la base di una serie di lanci corretti, ci vuole una buona preparazione.
Inoltre, ogni lanciatore è diverso, e per ognuno la tecnica può variare. Non si può dunque pretendere che tutti i lanciatori utilizzino la stessa modalità di lancio.
L’ideale potrebbe essere che il lanciatore disponga di tutte le informazioni tecniche già in partenza, senza dover imparare per esperienza. Questa, però, non è una possibilità concessa all’Uomo, che non possiede, trascritte nel DNA, tutte le informazioni che servono per poter comunicare efficacemente.
Uscendo dalla metafora, possiamo dire che non è possibile imparare a comunicare una volta per tutte. L’adattamento alla realtà è flessibile proprio in funzione del fatto che gli eventi della vita lo sono. Ogni relazione, poi, è diversa dalle altre, perché gli individui che la attuano sono unici e irripetibili. Conoscere le regole di base è fondamentale, certo, così come esercitarsi costantemente, ma questo non basta.
Non basta imparare. Bisogna imparare ad imparare. Se la comunicazione è adattamento, imparare a comunicare significa sviluppare le proprie potenzialità biologiche e culturali come essere umano.