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Relazioni

Il “tu” nella relazione medico paziente.

La relazione medico-paziente dal “lei” al “tu” e viceversa

L’incontro tra medico curante e paziente curato

Il rapporto tra medico e paziente si muove in un ambito peculiare, dove la distanza degli attori si può ridurre in modo importante, passando da quella “sociale”, di poco superiore ai tre metri, per giungere a quella intima, intorno ai 25 centimetri, sino all’estrema interazione del contatto diretto. Si tratta di un teatro d’azione nel quale categorie sociologiche si confrontano e dove gli aspetti educativi non hanno un ruolo secondario. L’ambiente sanitario implica una continua interazione con terzi che variano ogni giorno, pur se riferibili a caratteristiche comuni di base. In questo ambito la medicina dell’algoritmo, oggi diffusamente accettata, diviene una ridicola scheletrizzazione della complessità dell’essere umano. Uno dei riscontri comuni e che viene percepito come fastidioso dal personale sanitario è la percezione di come ciò che si impara nel corso di studi e negli anni di esperienza non sia sufficiente ad affrontare la complessità di ciò che ci si trova a dover gestire.

L’asimmetria relazionale medico paziente

Si tratta in ogni caso di situazioni che pongono a confronto due piani differenti in una relazione che non è simmetrica ma che deve prevedere una reciprocità collaborativa per poter giungere ad un risultato apprezzabile. L’interrelazione non avviene ovviamente sullo stesso piano tecnico, ma deve di necessità restare su un livello di parità umana. In questo porsi davanti all’ “altro” il “lei” significa sì distanza ma anche professionalità mentre un “tu” si avvicina a un orizzonte empatico che sembra avere effetto antalgico ed ansiolitico ma si pone in una pericolosa posizione di confidenza che può abbassare l’accuratezza del processo di cura.

Discussione: Il confronto in ambito sanitario

L’utilizzo del “voi” ha avuto inizio circa tre secoli dopo la nascita di Cristo, nell’ambito dei rapporti dei sottoposti con le alte cariche dell’impero: molti secoli dopo, la rivoluzione francese, in un impeto egualitario introdurrà il “tu” indiscriminato. Una battaglia antica, dunque, tra vicinanza e lontananza delle parti. Il perfetto equilibrio resta un obiettivo dei più difficili e dove sono importanti sia gli aspetti specialistici che quelli umani. Si tratta di uno scambio che già di per sé, visto il linguaggio non quotidiano che si è costretti ad impiegare, richiede un impegno bilaterale di comprensione e collaborazione. È l’incontro di due mondi con caratteristiche uniche soggettive e scenari peculiari, a volte quasi incondivisibili. Si incontrano biunivocamente due “io” ciascuno dei quali dà un “lei” piuttosto che un “tu” e che a sua volta ne riceve un altro. Un processo di interscambio sempre esposto a incomprensioni o parzialità in cui il messaggio ricevuto svolge la sua trama dentro un preciso quadro socio-antropologico. Da questa unione non si possono escludere aspetti psico-metafisici, a volte espressione di un modo di essere, altre assenza apparente di ricerca dell’oltre. L’interlocutore è così alterità completante da cui attingere utilità, in un gioco di scambio di particolare importanza nella richiesta di aiuto che il paziente espone.

La dinamica dell’ incontro

Punto di primo contatto sono gli occhi, che portano la relazione sul piano strettamente umano. Un volto che è comunicazione ma anche resistenza, espressione e nascondimento. Da qui il rapporto evolve verso imprevedibili direzioni, con stili diversi, la gestione dei quali richiede attenzione, volontà e direzionalità da entrambe le parti. In questa situazione il conflitto tra “lei” e “tu” può presentarsi in ogni momento. Il passaggio tra i due livelli può avvenire o meno, in base alla alla disponibilità dei soggetti. Così ha inizio una battaglia che può concludersi rapidamente o protrarsi indefinita e indefinibile per più tempo.

L‘interazione dei piani

Esistono vari livelli di complementarietà ma la relazione di cura non può essere assimilata ad un rapporto paritario né ad una relazione amicale. La gestione dello spazio di vicinanza tra i due attori del confronto è delle più varie: a volte è il sanitario che accorcia le distanze, più spesso è invece il paziente a volersi avvicinare per ridurre il disagio legato alla situazione di bisogno. Il sanitario che agisca in modo professionale in questi casi non si fa coinvolgere, valutando caso per caso ed agendo di conseguenza. Come chiosa efficacemente Errico (https://www.inpsiche.it): “riprodurre in una relazione clinica un atteggiamento amicale…non è…qualcosa di utile…al prendersi cura dei pazienti”.

Umanità e incontro

Dato che si tratta del rapporto di due persone la cui unicità non deve essere fonte di scontro, tutto ciò che si riferisce agli aspetti umani deve essere. Ci vuole quindi com-prensione e com-passione che prevedano la presa in carico emozionale di colui che richiede aiuto. Se è impossibile condividere decisioni tecniche, non è irraggiungibile la cura di tutto ciò che concerne l’aspetto umano del colloquio. E’ noto come i pazienti apprezzino in modo particolare aspetti di umiltà da parte del curante e ne traggano beneficio, dato che la psiche influisce pesantemente sul corpo. Il vecchio adagio “sapere-saper fare-saper essere” resta sempre perfettamente attuale.

Conclusioni: L’equilibrio relazionale medico paziente

Il confronto tra curante e curato è inficiato dal decadimento di aspetti etici e del concetto di autorità professionale, nonché dall’incremento enorme della burocrazia e dalla conseguente mancanza di tempo. Senza la pretesa di porre una indicazione valida in ogni caso, ritengo che non sia corretto né auspicabile in prima istanza l’utilizzo del “tu”, che deve restare confinato in una nicchia elettiva e selezionata.
Credo dunque che la seconda persona singolare vada limitata ai colloqui con i bambini fino all’età dell’adolescenza. Nei pazienti più anziani è necessario sempre tenere presente quale importanza abbia per loro la percezione del rispetto della loro dignità.

Relazione e ruolo

E’ chiaro come la complessità del fatto interattivo presupponga dunque il “lei” come regola e come sia sempre necessario adattare il contesto alla situazione contingente.
Rispetto dunque dei ruoli, distanza corretta del rapporto, presa di coscienza del sé e per quanto possibile dell’ “altro”, educazione, fiducia e collaborazione saranno i cardini su cui poter impostare un percorso di cura efficace.

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simone cigni

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