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Scuola

Lo sviluppo linguistico secondo J. S. Bruner

Articolo originario del 8 febbraio 2007 rivisitato in data 6 novembre 2019

La teoria di Bruner sullo sviluppo e apprendimento linguistico

Il panorama della psicologia del linguaggio è dominato fino alla fine degli anni ’50 dalla visione comportamentista allora in auge nella cultura americana e che vede l’acquisizione del linguaggio come una forma del più generale paradigma di apprendimento.

LINGUAGGIO = APPRENDIMENTO

La teoria più articolata che esprime questa visione è esplicata nello scritto di Skinner “Verbal Behaviour” (Skinner 1957).
Il linguaggio viene appreso, in base al meccanismo del condizionamento operante, come una serie di risposte favorite attraverso meccanismi di rinforzo. Tale idea segue il millenario filone di pensiero che si può far risalire all’idea ingenua contenuta nelle “Confessioni” di Sant’Agostino, secondo la quale il linguaggio infantile è una forma semplificata di quello adulto appreso per mezzo di processi imitativi.
A livello sperimentale non viene fatta alcuna distinzione tra l’acquisizione del linguaggio come mezzo di espressione e di comunicazione e quella di una serie di sillabe senza senso.
Non viene assolutamente preso in considerazione come oggetto di studio il potere combinatorio e generativo della sintassi che permette di costruire frasi che non appartengono al linguaggio degli adulti e di cui due validi esempi sono costituiti dai cosiddetti “ipercorrettivismi” tipici dei bambini e dalle classi-perno aperte, dove un sintagma comune si combina produttivamente con varie parole.

L’attenzione è concentrata più sulle parole che sulla grammatica.

jerome bruner; psicolab;
Jerome Bruner

La teoria di Chomsky: apprendimento linguistico

A questo paradigma si oppone con acute e violenti critiche Noam Chomsky (Chomsky 1959) che propone un modello opposto a quello ambientalista.
Per Chomsky il linguaggio è un sistema complesso caratterizzato da un ordine interno costituito dalle regole della grammatica.
Egli suggerisce che l’acquisizione del linguaggio sia basata su un “Language Acquisition Device” (LAD) ovvero un dispositivo di acquisizione che ha come base una grammatica universale, una struttura linguistica profonda innata nella specie umana. Sarebbe così comprensibile la rapidità con cui i bambini acquisiscono la lingua madre e soprattutto verrebbe superata l’idea dell’imitazione che non rende ragione della creatività e della ricchezza del linguaggio infantile (Chomsky 1957).

Noam Chomsky; psicolab;
Noam Chomsky

Tuttavia anche la concezione chomskyana non è esente da critiche: innanzitutto il linguaggio diventa indipendente sia dallo sviluppo cognitivo che dalla competenza comunicativa. Inoltre la metodologia di Chomsky continua con la tradizione sperimentale in vitro, isolando il linguaggio dal contesto.
Come lo stesso Bruner afferma, citando George Miller, il piano del dibattito a questo punto presenta due teorie sull’acquisizione del linguaggio: una, l’associazionismo empirista, impossibile, l’altra, l’innatismo, miracolistica (Bruner 1983).
L’approccio sintattico non è sufficiente e Bruner ritiene imprescindibile nello studio del linguaggio una conoscenza del mondo ed una intenzionalità comunicativa. Inoltre, per quanto sia possibile formare enunciati grammaticalmente corretti ma privi di significato, è in realtà molto raro che ciò avvenga nel bambino.
Una questione su cui si muove la teorizzazione psicolinguistica dopo Chomsky riguarda proprio il modo in cui la conoscenza del mondo nel bambino guida il suo sviluppo linguistico: tale conoscenza può fornire distinzioni semantiche che, in qualche modo, corrispondono alle distinzioni che va imparando con la lingua? 

E’ possibile che il modo di sviluppare i concetti rifletta la struttura grammaticale del linguaggio e, quindi, si possa parlare di una semantica generativa?

La Scuola di Pensiero di Oxford e John Langshaw Austin

Diversi studiosi ritengono che la sintassi possa essere derivata da categorie non-linguistiche, ma l’attenzione di Bruner si concentra sull’intenzionalità del linguaggio.
Agli inizi degli anni ’70 si forma ad Oxford un gruppo di studiosi che, ispirandosi alla teoria di Wittgenstein sull’attribuzione dei significati in base all’uso, si interessano all’aspetto pragmatico del linguaggio, valorizzando il contesto in cui avvengono gli scambi linguistici e sottolineandone il valore culturale.
Austin, a capo di questa nuova scuola di pensiero insieme a Searle e Grice, concentra la sua attenzione sugli enunciati performativi e sulla teoria degli “atti linguistici”, sulla modalità cioè, usando una sua famosa espressione, attraverso cui “fare delle cose con le parole”.
Il modo di concepire il linguaggio subisce un viraggio e da fenomeno prettamente intraindividuale diviene eminentemente sociale e interindividuale.

John Langshaw Austin; foto;
John Langshaw Austin

Nel 1972 Bruner si trasferisce ad Oxford proprio con lo scopo di dare il suo contributo a questo nuovo approccio interazionista che si sposa con la sua concezione evolutiva del bambino. La linguistica definisce solitamente il suo campo come quello che va “dal suono al significato”, mentre in realtà, come suggerisce Searle, noi passiamo dal suono all’intenzione. Tale ruolo attribuito all’intenzione richiede un ruolo dell’adulto molto più attivo rispetto ad essere un semplice modello.
Durante tutto il corso della sua attività scientifica, dalla visione costruttivista dello sviluppo che costituisce l’ossatura del movimento del New Look, attraverso la concezione di un infante sempre più competente, fino agli ultimi anni della “psicologia culturale”, Bruner seguirà sempre una visione della mente funzionalistica, dove il motore dello sviluppo rimane l’acquisizione di strumenti culturali.

Egli distingue tra un patrimonio di capacità del neonato, con radici biologiche, e l’esercizio funzionale di tali capacità che rappresenta un’acquisizione di strumenti culturalmente determinata.

Di conseguenza lo sviluppo è strettamente collegato all’interazione con le figure che rappresentano, nel corso della vita, i medium per l’acquisizione della cultura di appartenenza.

 “Dire che i bambini sono anche sociali è una banalità. Essi sono attrezzati per rispondere alla voce umana, all’azione e al gesto umano” (Bruner 1983). 

Fin dal primo mese di vita la co-orientazione degli sguardi è la prima modalità con cui l’adulto stabilisce una condivisione della realtà con il bambino, una referenza congiunta. Spesso l’adulto, oltre a volgere lo sguardo nella stessa direzione, nomina l’oggetto dello sguardo costituendo una vera e propria protoconversazione.

Lo Scaffolding di Bruner e la psicologia delle emozioni


A sua volta quest’attività strutturante e di sostegno ( scaffolding ) promuove nel bambino la capacità di seguire gli sguardi dell’adulto (Bruner, Scaife 1975). L’adulto è portato a considerare attivi e intenzionali gli atti del bambino fin dalle prime settimane di vita, anche quando ancora non lo sono, e cosi facendo sostiene la costituzione di un sistema di segnalazione dove il bambino si rende conto che i suoi atti sortiscono effetti sugli altri. Molto rapidamente si sviluppa fra madre e bambino uno scambio reciproco e in tale scambio ognuno dei partner trova stimolo e rinforzo per orientare il proprio comportamento.
Da un punto di vista evolutivo, quando tra l’adulto (caregiver) e il bambino si crea un rapporto strutturato con suddivisione di compiti, alternanza di turni, complementareità di ruoli, regole e convenzioni, siamo di fronte ad un sistema comunicativo che costituisce l’ossatura relazionale che sarà seguita anche dalle interazioni linguistiche successive.

Categorizzazione di Bruner: i format

Bruner chiama quest’unità di comunicazione format, che definisce come “una struttura d’interazione standardizzata, inizialmente microcosmica fra un adulto e un bambino, che contiene dei ruoli delimitati, che alla fine diventano reversibili” (Bruner 1983).

Un format nasce nel momento in cui un contesto naturale viene convenzionalizzato, ritualizzato con delle procedure ripetitive permettendo al bambino di fare emergere dallo sfondo del flusso fenomenico dei segnali significativi e stabili. Le azioni di ciascuno dei due partecipanti sono contemporaneamente risposta e stimolo successivo, in un processo di influenzamento reciproco che permette di creare forme sempre più evolute di cooperazione. Essi costituiscono il principale veicolo attraverso cui è possibile rendere chiare le proprie intenzioni comunicative e cogliere quelle altrui.

Di conseguenza i format sono gli strumenti fondamentali per il passaggio dalla comunicazione alla verbalizzazione poichè possiedono una struttura sequenziale, una storia, implicano l’elaborazione di una intenzione ed una attività interpretativa.

post it;
Muro di Post It

In altre parole la funzione linguistica fondamentale non è una struttura sintattica innata come suggeriva Chomsky, ma la capacità cooperativa, di regolazione del lavoro comune. È l’azione condivisa che detiene le regole della grammatica dei casi e quindi il linguaggio si pone come un’estensione specializzata e convenzionalizzata dell’azione comune (Bruner 1975). 

Se esiste un LAD, l’input che ne permette l’attualizzazione non è un “bagno di linguaggio parlato, ma qualcosa di fortemente interattivo” (Bruner 1983), un “sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio” che Bruner denomina con l’acronimo LASS ( Language Acquisition System Support ).
L’ambiente linguistico deve essere cioè preparato, avere caratteristiche familiari e di routine, essere articolato in un insieme di format che diano delle coordinate al bambino. È l’interazione tra il LAD e il LASS che consente di entrare nella comunità linguistica e, al tempo stesso, nella cultura.

Sviluppo del Linguaggio

Da quanto detto finora risulta evidente una sostanziale continuità strutturale tra comunicazione prelinguistica e fase linguistica.
Per Bruner la comunicazione viene prima del linguaggio e si “impara a parlare comunicando”.
Egli illustra quattro sistemi, dei prerequisiti sociocognitivi, antecedenti alla comparsa del linguaggio:

– La predittività mezzi-fine: gran parte dell’elaborazione cognitiva nell’infanzia sembra essere diretta ad uno scopo; il succhiare non nutritivo, ad esempio, è un meccanismo di compensazione che impedisce al bambino di avere iperreazioni, ma gia dopo poche settimane di vita può venire usato per rendere nitide delle immagini confuse mostrando che esiste fin dall’inizio una tendenza ad entrare in sintonia con le richieste di coordinamento dell’azione, cioè che il comportamento è guidato dalla disposizione attiva di mezzi destinati ad un fine. Inoltre il bambino sembra essere molto sensibile alle esigenze della predizione e mostra di ricavare piacere dalla predizione riuscita. Ovviamente il principale “strumento” di questa ricerca di coordinazione è costituito da un altro essere umano familiare, e rapidamente la strutturazione di mezzi destinati ad un fine comprende le azioni dell’altro. In breve i bambini sono sintonizzati per entrare nel mondo dell’azione umana.
La transazionalità: una enorme quantità di attività del bambino nel primo anno e mezzo di vita è sociale; nei comuni esperimenti di laboratorio una risposta sociale rappresenta il rinforzo più efficace. Alle strutture di attaccamento innate si aggiunge rapidamente uno scambio reciproco, un sistema di anticipazione intersoggettivo molto complesso che muta l’attaccamento biologico in qualcosa di molto più sensibile alle caratteristiche individuali e culturali.
La sistematicità: molte delle azioni del bambino avvengono in situazioni familiari controllate e mostrano un alto grado di ordine e sistematicità; essi passano la maggior parte del tempo facendo un numero di azioni limitato e introducendo via via variazioni e combinazioni diverse negli schemi assimilati. Dopo Piaget è impossibile sostenere la caoticità del comportamento infantile e, considerati i limiti d’azione, quel che avviene è regolato e sistematico. Il bambino fà l’ingresso nel mondo linguistico con questa attitudine all’ordine ed alle variazioni sistematiche, a “fare molto con poco” attraverso una straordinaria creatività combinatoria come emerge dagli studi sul linguaggio spontaneo.
L’astrazione: complementare all’aspetto sistematico l’astrazione manifesta la capacità del bambino di trovare le invarianze nel mondo, ciò che rimane immutato sotto la superficie mutevole dell’esperienza. Attraverso questa capacità i bambini sono in grado di riconoscere visivamente oggetti conosciuti solo attraverso altre modalità sensoriali come il tatto. Non è casuale che nel corso dell’acquisizione linguistica appaiono precocemente distinzioni astratte (stato/processo, specifico/non-specifico, azioni puntuali/azioni ricorrenti) dato che esse presentano analogie con il modo in cui il bambino ordina il proprio mondo. Il linguaggio servirà a specificare, ampliare ed espandere distinzioni che egli possedeva già.

 

Language Acquisition Support System di Bruner

Bisogna fare attenzione al fatto che Bruner non presuppone un misterioso processo di semeiotizzazione che trasforma tali capacità in caratteristiche del linguaggio, egli ne parla come di una “attrezzatura mentale” ed è impossibile stabilire una contiguità formale, ma è come se il linguaggio risponda alle medesime funzioni comunicative (Bruner 1990).

Sono diverse le modalità con cui il LASS assicura la continuità dalla comunicazione prelinguistica a quella linguistica e Bruner ne evidenzia almeno quattro principali:

attraverso i format di transazione familiari diventa possibile per il partner adulto mettere in rilievo tratti del mondo gia rilevanti per l’infante e che sono traducibili in forme grammaticali semplici. Vi è quindi una corrispondenza categoriale fra concetti del mondo reale e forme linguistiche;

– l’adulto presenta sostituti grammaticali e sintagmatici dei mezzi gestuali ed orali familiari atti a svolgere varie funzioni comunicative. Afferma Grice che oltre all’intenzione comunicativa è fondamentale per un uso maturo del linguaggio anche una capacità di usare mezzi non-naturali o convenzionalizzati. È singolare che, nonostante nel bambino non esista ancora tale capacità, la madre agisce proprio come se egli fosse consapevole di ciò, fornendo una struttura anticipatoria che guida il bambino;

– con l’esercizio e l’aumento delle abilità vari processi linguistici e psicologici si generalizzano da un tipo di format ad altri: ad esempio l’attribuzione di nomi appare all’inizio nei format dell’indicare e si trasferisce in seguito ai format del richiedere;

– con l’uso dei format di giochi specificamente linguistici che col tempo assumono il carattere di vere e proprie “simulate” e costituiscono un laboratorio linguistico. Bruner da una brillante e sistematica descrizione del gioco del cucù frutto di oltre un anno e mezzo di osservazioni e dove ci mostra come queste categorie di giochi, dove le parole svolgono un ruolo fondamentale, siano dei “sistemi di vita” simili al linguaggio e mostrino svariate analogie con esso.
Egli affronta anche i temi del riferimento e del fare richieste che sono delle evoluzioni più complesse dell’uso del linguaggio. Riguardo al riferimento Bruner considera la procedura di assegnamento di un nome come una vera e propria cerimonia d’investitura dove la madre, quando inizia a fare delle ipotesi di semanticità sui vocalizzi del bambino, comincia sistematicamente a correggerne i suoni verso una maggiore chiarezza fonetica.
Nei format di riferimento sembra essere operante una sorta di principio in base al quale nessun parlante sarebbe totalmente ignorante e le madri, pur non sapendo cosa abbiano in mente i bambini quando emettono dei suoni sono comunque convinte che fra loro sia possibile stabilire qualcosa di comprensibile. L’evoluzione rispetto ai giochi citati sopra consiste nel fatto che, mentre le parole dei giochi sono puri performativi e dove tutto è stabilito, nel riferimento invece, alla “cerimonia d’investitura” manca un elemento che non è fisso ed è proprio su tale referente che deve concentrarsi l’attenzione dei due partecipanti. Afferma Bruner che “se occorre una dimostrazione di corretta sintonia nell’acquisizione del linguaggio, lo sviluppo del formato del riferimento certamente la fornisce” (Bruner 1983).
L’ontogenesi delle procedure di richiesta rappresenta un ulteriore passo in avanti dato che il bambino non solo deve imparare dei modi per segnalare la sua attenzione, ma deve inserirvi anche un riferimento, per giunta assente. In altre parole non solo deve segnalare che vuole qualcosa, ma anche cosa vuole e riferirsi a qualcosa di non immediatamente accessibile. Bruner individua la genesi di tale procedura nel pianto e sottolinea come questo si evolva in modalità sempre più convenzionali che servirebbero come strumenti di verifica della comprensione e dell’attenzione degli adulti. Dopo gli otto mesi il gesto di indicare permetterebbe un’affinamento della richiesta che con la crescita si differenzia in richiesta di cose, di aiuto o di relazione.

Ciò che Bruner non smette mai di sottolineare è il parallelismo tra acquisizione del linguaggio e trasmissione culturale e che nell’ambito della cultura il linguaggio svolge la duplice funzione di chiave d’accesso ma anche di strumento privilegiato di costruzione e cambiamento. 

Nella sua teorizzazione più recente evidenzia come la continuità di funzione fra comunicazione prelinguistica e verbale non si limita ai primi anni di vita: il senso ultimo della comunicazione sarebbe la narrazione e questa dimensione riguarda tutti i sistemi comunicativi, dai più semplici fino alle forme più mature, sia sul versante personale autobiografico che quello comunitario e sociale. Bruner fa riferimento alla “psicologia popolare” (Bruner 1990) che si fonda sulla cultura condivisa e la cui trama è sostanzialmente narrativa. L’esigenza di organizzare l’esperienza in modo narrativo emerge precocemente nel bambino piccolo che impara a recitare la sua parte nella “commedia familiare” padroneggiando le forme linguistiche atte a narrare. Ma la narrazione possiede anche le caratteristiche di negoziazione di significati, una dimensione simbolopoietica essenziale alla vita ed alla crescita più alta di una cultura e di ogni individuo.

Conclusioni sullo Sviluppo Linguistico di Bruner

In conclusione, malgrado alcune carenze come, ad esempio, l’approfondimento dell’intenzionalità del bambino o una certa confusione tra continuità di struttura e continuità di funzione tra fase prelinguistica e linguaggio, la teoria di Bruner rimane tra le più feconde e, con la categoria dell’interazione sociale, capaci di generare ipotesi esplicative.
Inoltre la collocazione del linguaggio nell’ambito cognitivo, comunicativo e culturale consente a Bruner di avvalersi di una concezione intrinsecamente ed evolutivamente unitaria della psiche umana.

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Marco Taddeo

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