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Salute, Scuola

Pedagogia dello sport a scuola

L’insegnamento delle attività fisiche e sportive a scuola implica un insieme di saperi e competenze pedagogiche. Una pedagogia dello sport si può definire come un insieme di procedure e di tecniche d’apprendimento, ma che si può comprendere solo nei riguardi di obiettivi o norme che si assegnano per servire le finalità della scuola.
Come per ogni disciplina insegnata a scuola, può essere avanzato un obiettivo: quello della padronanza relativa dei compiti che la costituiscono. Saper contare, saper nuotare sono pratiche considerate utili e necessarie alla nostra vita sociale, e da questo punto di vista il loro insegnamento trova una parte della sua legittimità. Favorire l’accesso di tutti alla pratica di uno o di parecchi sport si inscrive in questa prospettiva. In questo caso si parla di cultura sportiva. Tuttavia se lo sport è insegnato a scuola, non è solamente perché ciascuno possa praticarlo, ma ugualmente perché permette di sviluppare un insieme di capacità necessarie per adottare condotte motorie adatte, come richiede la nostra vita sociale di oggi e di domani. Oltre ad una cultura sportiva, l’obiettivo è anche una cultura del corpo in quanto partecipe di una educazione globale che auspica di superare la sola trasmissione di tecniche d’adattamento per favorire delle possibilità d’evoluzione e di creazione. In questo senso si può dire che le attività fisiche e sportive sono contemporaneamente oggetto e mezzo di un’educazione qualificata come fisica e sportiva. Questa doppia prospettiva – che lega utilità e preoccupazione dello sviluppo dell’individuo – segna i due poli di ogni azione educativa.
Nel corso dell’ultimo secolo i pedagogisti dell’educazione fisica e sportiva sottolineano la difficoltà a legare correttamente queste due intenzioni.

Lo sport impone una pedagogia.
La libertà pedagogica lasciata agli insegnanti e l’interesse degli allievi hanno fatto sempre più emergere una pedagogia essenzialmente orientata verso l’iniziazione sportiva.
Quando si tratta di fare realizzare un gesto finalizzato, una tecnica corporea efficace, le conoscenze non sono più sufficienti: si impongono quelle che sono relative ai processi d’apprendimento. La pedagogia si basa sulla tradizione della dimostrazione che deve dare una giusta idea del gesto da fare e provocare così un processo d’imitazione. Sono le teorie “associazioniste” dell’apprendimento che animano gli interventi pedagogici. Il gesto è spezzettato in elementi successivi da acquisire separatamente, poi da coordinare e legare tra loro. Progressivamente, quest’atteggiamento analitico cederà il posto ad un approccio più “globale”, dove il gesto da imparare verrà proposto nel suo insieme per rispettare la sua unità originale.
Non sono più le differenze morfologiche o fisiologiche che determinano i gruppi di lavoro, ma il livello d’efficacia raggiunto. Da questo punto di vista l’eterogeneità della classe rende necessaria un’individualizzazione della pedagogia che ci allontanano dalla pedagogia del formalismo dell’esercizio identico per tutti.

Apprendimenti e gesti sportivi.
Le indicazioni dei diversi programmi ministeriali riservano un posto sempre maggiore all’attività sportiva, tuttavia non sempre le installazioni sportive sostengono questa necessità in tutte le situazioni ambientali. Se le attività sportive devono avere un posto adeguato nell’ambito dell’educazione generale, l’educazione fisica e sportiva si basa su attività in cui la loro legittimità d’impiego e che organizza in funzione degli obiettivi che gli vengono assegnati. Essa non deve
essere confusa con certi mezzi che utilizza. La maturazione fisica, intellettuale e morale a cui mira la scuola, il superamento di sé che promuove non sono solamente i mezzi per formare uno sportivo competitivo: sono anche quelli dell’accesso alla salute fisica e mentale che permette a ciascuno di adattare continuamente le sue reazioni ed i suoi comportamenti agli obblighi del suo ambiente. L’educazione fisica e sportiva integra le attività fisiche e sportive per migliorare le capacità degli allievi e d’instaurare delle competenze specifiche.
Sul terreno, ad eccezione degli esercizi di riscaldamento, sono le pratiche sportive che vengono programmate nell’insegnamento. I differenti sport vengono classificati in famiglie. Una pianificazione di ciascuna di esse viene effettuata ricercando per tutta la scolarità un equilibrio nello sviluppo degli effetti che sono supposti permettere dal punto di vista dei fattori percettivi, psicologici, sociologici, organici, considerati come le determinanti fondamentali della motricità.
In questo contesto la pedagogica è eclettica nei fini che persegue e nelle procedure che attua. Si possono qui osservare le influenze mescolate delle teorie dell’apprendimento elaborate in psicologia nella prima metà del XX secolo. Il pedagogo propone una dimostrazione del gesto da fare (teoria ideomotoria), poi fa ripetere in alternanza sia delle parti del gesto (è la decomposizione del gesto in elementi da acquisire separatamente, sotto l’influenza delle teorie associazioniste), sia l’esecuzione completa destinata a cogliere globalmente la «buona forma» (Gestalt) o a permettere d’associare tra loro gli elementi preliminarmente appresi. Le correzioni che seguono riguardano gli scarti dal modello che è supposto permettere l’efficacia, la quale sarà valutata rispetto alle norme sportive. L’attenzione è portata sul risultato oggettivo, ma è ancora la forma del movimento che viene privilegiata. Questa teoria sarà chiamata “tecnicistica” nella misura in cui la forma del gesto del campione diventa il modello da imitare.

L’allievo protagonista e produttore dei suoi apprendimenti.
Lo sviluppo delle scienze umane (in particolare sotto l’influenza dell’epistemologia genetica di Piaget), delle scienze cognitive e delle neuroscienze, e particolarmente della teoria dell’informazione, trasformano le riflessioni pedagogiche. La dimostrazione assume meno importanza, l’allievo è portato ad entrare più direttamente nell’attività per individuare le sue possibilità e le sue difficoltà. L’insegnante «sistema l’ambiente» giocando sulle sue trasformazioni e sull’aggiustamento del materiale allo scopo di oggettivare il fine degli apprendimenti e d’offrire il massimo d’informazioni all’allievo prima, durante e dopo l’azione, per cui quest’ultimo valuta al meglio le procedure ed i risultati ottenuti. Qui è attuata una pedagogia delle “situazioni-problema”. Le procedure di valutazione rivelano le ambizioni educative degli insegnanti. In effetti, quando si tratta d’attribuire un voto in educazione fisica e sportiva agli esami nazionali (in Francia), gli insegnanti considerano che la sola prestazione sportiva sia insufficiente per rappresentare il progresso e l’evoluzione della motricità dell’allievo. Quindi essi aggiungono una valutazione della condotta motoria generale definita come «intelligenza del movimento, presa di coscienza del corpo, padronanza ed efficacia del gesto». Sono anche apprezzate le «conoscenze sulle tecniche delle attività seguite». Nelle condizioni di un insegnamento con orari obbligati, è giocoforza constatare che esiste uno scarto tra le intenzioni e la realtà quotidiana.

Le attività sportive nei programmi scolastici
Per riassumere la tendenza pedagogica attuale, si può considerare che ciascuna attività sportiva insegnata è proposta come un compito o un insieme di compiti da imparare. Questi ultimi sono indicati come elementi che mettono in gioco un insieme o una configurazione specifica di risorse (biomeccanica, bio-energetica, bio-affettiva, bio-informativa) che bisogna in seguito saper mobilizzare per una realizzazione efficace ed armonica (abilità). La messa in gioco di risorse che implicano gli obblighi dell’ambiente e le caratteristiche stesse del compito hanno per effetto d’arricchire queste risorse considerate come capacità necessarie da sviluppare per permettere la complessificazione progressiva di competenze particolari. Sono queste capacità di competenze particolari e generali da inscrivere in un programma d’educazione fisica e sportiva, dalla materna all’università. Da una parte quest’ultima dovrà dare dei riferimenti nazionali per omogeneizzare l’organizzazione degli apprendimenti sportivi proposti a scuola, e dall’altra definire gli obiettivi trasversali da sviluppare, qualunque siano questi apprendimenti. La riflessione didattica in materia d’educazione fisica e sportiva tende a trovare un modo per accordare la necessità sociologica di preservare la varietà degli apprendimenti sportivi – senza tuttavia cadere in un accumulo d’apprendimenti mai realizzati – con il bisogno d’oggettivare le acquisizioni reinvestibili al di fuori delle attività praticate. Al di là delle condizioni materiali e degli orari d’insegnamento così come dalle difficoltà metodologiche che possono rendere illusoria quest’ambizione di redigere una sorta di «grammatica del movimento». Non si deve dimenticare che ogni pedagogia non si lascia facilmente incasellare in un programma ufficiale, quando si sa che la diversità delle esperienze individuali in contesti estremamente variati fa dell’allievo un essere singolare che si tratta d’accompagnare verso un avvenire. Queste brevi note pedagogiche hanno mostrato come si è passati da una pedagogia dell’esercizio collettivo preparatorio e formatore ad una pedagogia dell’azione individuale e in squadra che mette l’educatore di fronte ai significati sociali ed individuali della materia che insegna. In questo senso si può comprendere che per molti genitori il professore di educazione fisica e sportiva resta un “prof. di ginnastica”, quando per i bambini è diventato un “prof. di sport”. Si può vedere la prova che una pedagogia è sempre al servizio di una
cultura scolastica che deve continuamente ridefinirsi.

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Francesco Perrotta

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