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Neuroscienze

La personalità è nel lobo frontale?

Per il dottor Harlow deve essere stato uno spettacolo più unico che raro vedere entrare nel suo studio un ragazzo di circa 25 anni con una sbarra di ferro che gli attraversava il cranio e che sulle proprie gambe gli chiedeva di essere curato. La mattina del 13 Dicembre 1848 Phineas Gage non sapeva che quella sarebbe stata per lui una data importante, per almeno un paio di motivi: perché non morì a seguito del grave incidente di cui rimase vittima e perché passò alla storia delle neuroscienze. Gage lavorava per le ferrovie del Vermont come capocantiere e quel giorno si trovò a dover comprimere della polvere da sparo all’interno di una buca, con una sbarra di ferro. L’urto della sbarra contro una roccia, però, provocò una scintilla che fece esplodere la polvere. La sbarra, del diametro di 9 cm e lunga più di un metro, si trasformò in un proiettile che attraversò il cranio di Gage da sotto l’occhio sinistro, fino alla fronte sullo stesso lato, non provocando la sua morte, ma producendo gravi lesioni al lobo prefrontale sinistro.
Siamo nel 1848 e le neuroscienze hanno ancora tanta strada da fare. Il dottor Harlow estrasse la sbarra dal cranio di Gage e lo curò come meglio poté, tanto che dopo poco più di un mese Gage era già nuovamente a spasso per la città. Ma c’erano dei problemi. Lo stesso Harlow, che mantenne la corrispondenza con la famiglia di Gage per molti anni ancora dopo l’incidente, in un articolo intitolato “Il passaggio di una sbarra di ferro attraverso il capo” riferisce che “…la sua mente era completamente cambiata, in modo così deciso che i suoi amici e le sue conoscenze affermavano che lui non era più Gage.”           

Solo nella seconda metà del XIX secolo i neurologi hanno cominciato a convincersi che i meccanismi fondamentali del linguaggio e delle competenze motorie fossero situate in particolari regioni cerebrali, ma sono sempre stati riluttanti nell’affermare che convinzioni morali e comportamenti sociali potessero avere regioni cerebrali corrispondenti e ben localizzate. I sintomi di Gage sono l’esempio di tale corrispondenza. Riportiamo di seguito un brano dell’articolo di Harlow che meglio di ogni altra cosa può chiarire quali siano i possibili effetti di lesioni al lobo frontale:

“Egli è sregolato, irriverente, indulge talvolta nella bestemmia più volgare (che in precedenza non era suo costume), manifestando poco rispetto per i suoi compagni, intollerante verso limitazioni o avvertimenti quando questi vanno in conflitto con i suoi desideri, talora tenacemente ostinato, capriccioso ed esitante, progetta molti piani per il futuro, che vengono tuttavia abbandonati, anziché essere organizzati, in favore di altri piani che sembrano più facilmente attuabili […]. La sua mente era cambiata radicalmente, in modo così marcato che i suoi amici e conoscenti dissero che «non era più Gage.»”
           
La corteccia frontale umana costituisce almeno 1/3 dell’intera superficie cerebrale. La parte più anteriore è denominata corteccia prefrontale ed ha diffuse connessioni col resto del cervello. La corteccia prefrontale, a sua volta, può essere suddivisa in un’area dorsolaterale ed una regione orbitofrontale. Il cranio di Gage e la sbarra che lo ha trafitto sono custoditi a in un museo presso la Harvard Medical School. Attraverso una ricostruzione al computer, Hanna e Antonio Damasio (1984), dell’Università dello Iowa, hanno supposto che le lesioni di Gage abbiano interessato le regioni ventromediali di entrambi i lobi frontali, risparmiando l’area dorsolaterale.
Lesioni dei lobi frontali producono un’insolita gamma di cambiamenti emotivi, cognitivi, motori. Nei pazienti frontali si presenta una persistente apatia, alternata a periodi di euforia e senso di benessere. Le convenzioni sociali vengono “dimenticate” per lasciare spazio ad un comportamento decisamente impulsivo, in cui predominano spacconeria e stupidità e, qualche volta, un comportamento sessuale disinibito. Mostrano inoltre ridotta sensibilità al dolore ed un diffuso disinteresse per il passato ed il futuro. Anche se il QI sembra rimanere inalterato, i pazienti frontali mostrano generale smemoratezza per compiti che richiedono attenzione sostenuta, o per compiti a risposta ritardata (ad esempio, al paziente si fa pescare una carta da un mazzo e gli si chiede di guardarla, quindi gli si fa eseguire un compito diverso dal precedente, dopodiché gli si chiede uale carta avesse estratto dal mazzo).I pazienti frontali mostrano inoltre incapacità di pianificazione, sia motoria che temporale. Il livello motorio è piuttosto ridotto, il volto quasi inespressivo, accompagnato da una riduzione del movimento oculare e della testa. Le osservazioni comportamentali poste in atto nei confronti di questi pazienti mettono in evidenza la loro tendenza ad imitare gli altri.  Lhermitte, Pillon e Serdau (1986), riguardo ai pazienti frontali, hanno descritto una sindrome caratterizzata da imitazione spontanea dei gesti e del comportamento dell’esaminatore. Se l’esaminatore era intento a scrivere o manipolare oggetti, il paziente frontale ripeteva, consapevolmente e minuziosamente, i gesti dell’esaminatore. Le principali caratteristiche della sindrome frontale individuata da Lhermitte e colleghi sono definite di tipo disesecutivo e comprendono: riduzione delle capacità di giudizio, di pianificazione, i introspezione e di organizzazione temporale; discontinuità cognitiva; disturbi della programmazione motoria (compresa talvolta afasia e aprassia); riduzione della cura personale.
Si pensa che alcuni aspetti di questo disturbo derivino dalla perdita del controllo frontale (inibitorio) sulla corteccia parietale, che controlla alcuni aspetti dell’attività sensomotoria. Le connessioni tra corteccia parietale e corteccia frontale potrebbero mettere in relazione l’individuo con l’ambiente e favorire l’autonomia individuale.

Francesco Albanese

Francesco Albanese

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