La non negoziabilità del ruolo nelle istituzioni totali
Il concetto di ruolo si riferisce all’insieme di aspettative attribuibili ad un soggetto in un determinato contesto sociale. Per quanto socialmente predeterminato, il ruolo possiede tuttavia un margine di negoziabilità, in ragione della quale una modifica individuale sulla base delle rispettive propensioni, intenzioni e orientamenti, è pur sempre possibile. Questo lo rende un costrutto in divenire e mai uguale a se stesso, in quanto perennemente ridiscutibile in virtù di esigenze e fattori socio-individuali.
Ma non è sempre così.
Esistono contesti ambientali in cui questa caratteristica di negoziabilità è sostituita da una distribuzione di ruoli piuttosto rigida, in cui le aspettative sono predeterminate da una volontà cogente e immutabile. I connotati identitari di tali contesti si mostrano così soverchianti e costrittivi da colonizzare letteralmente anche l’identità degli individui in essi inseriti, i quali, sotto l’egida di un intento impositivo, si trovano costretti a ricalcare adesivamente ruoli e compiti istituzionalmente imposti. Dunque, se in situazioni adattive è il soggetto ad agire il ruolo, in questo caso è il ruolo ad agire totalmente l’individuo, condizionandone le scelte, le motivazioni, i comportamenti.
Goffmann le definisce istituzioni totali: strutture che agiscono nel tessuto sociale con un potere inesorabile e inglobante, in grado di annichilire letteralmente l’identità soggettiva, favorendone un appiattimento acritico e collusivo.
Si tratta di strutturo il cui fine socio-istituzionale è così saliente da mettere in ombra ogni altra connotazione identitaria: l’esempio più tipico è rappresentato dai penitenziari, il cui fine precipuo è volto alla rieducazione di soggetti che hanno violato la legge in previsione di un futuro reinserimento in società.
Ma il medesimo contesto è riscontrabile all’interno di strutture in cui una componente spiccatamente collettivistica si coniuga con la tutela di un interesse pubblico dominante e propulsore: ad esempio le case di riposo, gli istituti di accoglienza per minori e donne in difficoltà, le strutture psichiatriche. Tutti luoghi in cui l’individualità viene inevitabilmente posta in secondo piano e l’identità confluisce in un costrutto massivo, privo di sfumature. Fino all’ovvia conseguenza: il legame con la propria soggettività viene spezzato e sostituito con quello dell’ istituzione, di cui l’individuo diventa uno spento riflesso. Una mera propaggine.
Come si verifica tutto questo?
L’istituzione totale è latrice di una saturazione esclusiva ed escludente, in cui il Sé collettivo è il solo consentito; i soggetti in essa inseriti si trovano ostaggi di un impatto uniformante, e per certi aspetti fagocitante, che li depriva delle rispettive individualità.
L’ingresso nell’istituzione totale comporta un’autentica abdicazione della propria identità. L’individuo cessa di essere ciò che è e ciò che è stato fino a quel momento: la privazione degli oggetti posseduti in precedenza, l’obbligo di indossare divise e uniformi tutte uguali- cui spesso si accompagna l’attribuzione di un numero- il dovere di sottostare a regole collettivamente imposte e non negoziabili, rappresentano la chiara testimonianza del processo di “spoliazione del Sé” operato all’interno di queste grandi strutture.
La realtà intra ed interpsichica assume connotazioni dicotomiche che suscitano meccanismi difensivi proiettivi e fortemente scissionali: esiste il tutto buono e il tutto cattivo, il bene contrapposto al male e il giusto all’ingiusto, in ottemperanza ad un sincretismo cognitivo che si riverbera anche sulla dimensione emotiva, spesso non valorizzata, coartata o semplicemente agita. I rapporti asimmetrici danno vita ad un vissuto conflittuale fisiologico e insanabile, penalizzato per di più da una rigidità comunicativo-relazionale imposta dai rispettivi ruoli. Ruoli cui l’istituzione si aggrappa letteralmente con funzione difensiva, al fine di gestire le ansie, le angosce sincretiche, le conflittualità sottratte alla parola, che una competenza relazionale impoverita rischia inevitabilmente di esasperare.
L’importanza della dimensione soggettiva
Per avere coscienza di Sé come individuo, mantenendo un senso di integrità e di coesione interiore, il soggetto ha bisogno di un margine di autonomia con la quale stabilire e forgiare i connotati della propria esistenza. Deve negoziare ciò che intende essere, deve avere la possibilità di diventare, di evolvere, di trasformarsi.
Nelle istituzioni totali tutto ciò non è possibile: un potere superiore, che incombe come una forza indominabile, si sostituisce alla volontà autonoma e la soverchia completamente, creando autentici vissuti di de-soggettivizzazione. Ciò che si è è ciò che si deve essere, mentre l’identità viene privata del suo naturale valore esplorativo.
Nessuna possibilità di esplorazione, dunque. Tutto è prestabilito. La cogenza, per quanto garantista di un interesse collettivo, priva la personalità di quel potere maieutico che la rende in grado di auto generarsi e autoperpetrarsi.
È possibile che un tale modus operandi sia quanto di più lontano da un metodo educativo funzionale: potrebbe anzi rivelarsi l’esatto opposto. Secondo le parole di Goffman, la forma di controllo vigente nelle istituzione totali si rivela un meccanismo ingannevole la cui efficacia è soltanto apparente; il processo di fagocitazione identitaria e blocco esplorativo mal si concilia con la funzione rieducativo- evolutiva connessa all’istituzione, rendendola spesso vana.
Soggetti meramente agiti da un collettivismo maggiore e incoercibile vengono privati della motivazione intrinseca al cambiamento, e si lasciano contaminare da una volontà dominante che annichilisce il Sé: ad esempio può succedere che i carcerati si lascino agire dal ruolo imposto dall’istituzione carceraria evitando non soltanto di arricchirlo con contenuti motivazionali soggettivi, ma rendendolo al contrario un nuovo strumento di devianza, capace di inserirli in un microcosmo in cui la criminalità detiene comunque un ruolo dominante. Lo stesso fine educativo viene in questo caso snaturato e impoverito, così come la soggettività di colui a cui è rivolto.
Il rischio è quello di perdere l’individuo nelle sue connotazione peculiare e soggettiva, a favore di un’individualità diffusa e categorizzante in cui lo stesso senso del Sé risulta la mera propaggine di un tutto indifferenziato.
Potenziare l’aspetto individuale dei soggetti inseriti all’interno delle istituzioni totali, più che costituire un rischio al raggiungimento dell’obiettivo istituzionale, potrebbe pertanto mostrarsi un fattore propulsivo al cambiamento, in quanto in grado di alimentare una spinta motivazionale intrinseca che, ben più di un potere collettivo cogente, spinge verso la costruzione di obiettivi funzionali, autocritici e assertivi.
Goffman, E. (1961) Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza. Edizioni di Comunità, Torino 2001.