Da vedere e rivedere per chiedersi, di volta in volta, se un film girato a Boston, Massachusetts, a fronte di un budget stimato di 10.000.000 dollari, possa incassarne globalmente 225.933.435.
La risposta è senz’altro positiva perché WILL HUNTING, in cui si racconta la storia di un giovane dalla straordinaria memoria fotografica, con le riflessioni gnomiche di ampio respiro cattura chiunque lo assapori e, pur senza rendersene conto, insegna ad apprezzare la capacità di dare e meritare fiducia, a migliorare le relazioni interpersonali, a vincere i fantasmi dell’inconscio, a inseguire le stelle per non finire come un pesce in una boccia. Gus Van Sant, con l’allegoria di un fertile intelletto senza freni inibitori, ricorda che la libertà è il diritto dell’anima di respirare e che bisogna lottare per essa anche a costo di rinunziare ai privilegi straordinari riservate dalle proprie doti naturali.
Nello snodarsi di GOOD WILL HUNTING, il poliedrico artista, che ha pure dipinto il quadro su cui Matt Damon e Robbie Williams discutono, attratto dalle infinite possibilità offerte dal linguaggio cinematografico, in 126 minuti, fa salire alla ribalta dei nomi che riescono a trovare la strada per rigenerare l’animo di Will particolarmente predisposto per le materie scientifiche. Cosa ne sarebbe stato del GENIO RIBELLE, che vedeva soltanto cose negative fin da dieci chilometri di distanza, se l’intuito di Gerald Lambeau non l’avesse preso per i capelli? E se Sean Macguire avesse rifiutato di tessere la tela avviata dal luminare e non avesse aiutato il bidello del Massachusetts Institute of Technology (MIT) a scoprire l’uomo che giaceva addormentato nel ragazzo prodigio? O se Minnie Driver non avesse intravisto la tenera dolcezza sotto la coltre di ghiaccio? O se Chuckie Sullivan, disposto persino a sdraiarsi in mezzo al traffico per lui, non l’avesse bombardato con i suoi input talvolta perentori, invogliandolo a sfuggire dalla realtà sonnolenta che impera nei sobborghi di Boston?
USA 1997. Il teatro dell’azione è un quartiere povero, in cui Matt Damon e Ben Affleck, protagonista uno e spalla l’altro, agiscono, organizzano partitelle al campo da baseball o si incontrano negli squallidi bar di periferia. Tra i due amici, si distingue subito il cervello acutissimo che, nel tempo libero, legge libri di ogni genere e possiede una profonda cultura in vari campi del sapere; storia, filosofia, letteratura, scienze, per lui, sono piacevoli passatempi, per non parlare della matematica, che, grazie alle eccellenti capacità logiche e di calcolo, padroneggia con notevole prontezza fino ai livelli più sofisticati e dei complessi esercizi di chimica che, con insolita disinvoltura, risolve anche su un tovagliolo.
Le sue competenze, a 360° pure nelle discipline giuridiche e nella politica del Paese, lo portano a difendersi da solo in tribunale, a rifiutare colloqui di lavoro e, fatto ancora più clamoroso, a declinare, con un’analisi spietata, un’attività sottoposta al controllo del governo americano. Perché dovrebbe lavorare per la National Security Agency? Meglio spendere le proprie energie più proficuamente, magari difendendo Chuckie dagli attacchi di Clark che, più forte socialmente e con genitori che possono permettersi i 150000 dollari per la laurea del figlio, entra in un bar e si arroga il diritto di mortificare l’amico con sfoggi culturali imprecisi. Il fine per cui Damon interviene è quello di proteggere Sullivan, ma, inconsciamente, polarizza su di sé l’attenzione e incanta Skylar. Il vincitore della medaglia Filtz per il calcolo combinatorio, intanto, scosso dalle potenzialità di quel bulletto con molti crimini alle spalle, lo affida a uno psicologo che, dopo essersi rinchiuso per decenni nell’ombra dei suoi affetti, esce dal guscio e regala allo spettatore monologhi intensissimi.
L’obiettivo di McGuire non sarà tanto la cura del disagio psichico dell’adolescente con un passato orribile di bambino seviziato, quanto, piuttosto, il processo di liberazione; grazie all’aiuto di Sean, in effetti, Matt compie un viaggio di iniziazione, durante il quale comincia a sentire il diritto-dovere di aggrapparsi a valori nuovi. Stupendo il momento in cui il pulcino nella stoppia sfonda la corazza protettiva e, con una delle sue interpretazioni più energiche, abbraccia Robin Williams, scaricando le ataviche tensioni in un pianto disperato che, come un potente unguento, disinfetta tutte le ferite del suo cuore e gli insegna a descrivere la spontaneità di un sentimento esploso dentro fino a togliergli il fiato. Will, ormai, ha capito che non può isolarsi dall’intera società e persino dalle persone più care per incontrarsi soltanto con Shakespeare, Nietzsche, Frost, Connor, Kant, Pope, Lock, la sua epifania gli trasmette un benefico senso di liberazione che gli fa nascere il bisogno di cementare le basi del suo nuovo edificio spirituale e, se qualcuno dovesse telefonare per quel lavoro, che si dica soltanto “spiacente! Will si deve occupare di una ragazza”, della sua anima gemella, di una studentessa ad Harvard che lo ha salvato dagli abissi dell’inferno.
In quest’ottica, degna di rilievo appare l’immagine della locandina italiana, in cui la risata fresca di Will, accompagnata dal sorriso sereno di Robin Williams, è vigorosa prolessi dei messaggi fortemente plastici che ricalcano il percorso invisibile di chi, scoprendo la funzione apotropaica del confronto attivo, scopre, pur nella genialità, la propria normalità e si salva; altrettanto indicativa la parte posteriore della copertina, in cui compaiono, in primo piano, Robin Williams, Matt Damon, Minnie Driver e Ben Affleck, fulcro centrale del film … E Stellan Skarsgard? Perché il celebre professore s’intravede di scorcio dopo aver fatto tanto per il problematico inserviente prodigio del MIT? La risposta, probabilmente, sta nel fatto che Gerald Lambeau, pur nutrendo, in fondo al cuore, una certa invidia nei confronti del giovane sbandato, lo sollecita ad accettare varie proposte di lavoro guidato dalla velata speranza di trarne dei vantaggi anche per la propria carriera, ma non cerca nell’autodidatta geniale l’ “uomo-Will” con sogni da accarezzare e ansie da placare, rischiando di farlo ardere nella rabbia che egli manifesta.
Gus Van Sant, dunque, si è allineato a tanta filmografia in cui i veri protagonisti sono gli adolescenti che hanno bisogno di un Mentore capace di colmare i vuoti della loro anima, di rimuoverne i palesi o più latenti ostacoli, di trasformarli in uccelli librati nell’aria, di infondere la carica di dinamite necessaria per far dimenticare le chiavi inglesi, le cinghie sul tavolo, i bastoni da scegliere … e, intanto, Chuckie è ancora dietro la porta di Will che bussa … Nessuno gli apre … e bussa ancora … Nessuno gli apre e si sente felice … L’amico ha ascoltato il cuore ed è volato in California … E’ andato incontro a Skylar per gustare insieme a lei, a mani strette e guardandosi negli occhi, tante succose caramelle … Niente addio, niente arrivederci, niente. Sparito, via … ed ecco che Ben Affleck, a ogni vano “toc toc”, sente inondare il suo cuore gioioso da una stilla eloquente …
Ha collaborato Giacomo Augello