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Psicoterapia e Psicoanalisi

Un Ponte tra Buddismo e Psicologia

La religione fa parte da sempre della società umana. Essa nasce di pari passo con le prime aggregazioni sociali, per rispondere all’esigenza di dare un senso alla vita, esigenza che dobbiamo appagare per evitare di cadere nella nevrosi.
Un primo legame tra buddismo e psicologia si può trovare nella teoria della reincarnazione che prevede si possa ereditare un piccolo gene dalla persona che si era in una vita precedente. Questo elemento combinato con due grandi geni che vengono ereditati dai genitori contribuisce a creare il profilo fisico e spirituale del nuovo essere.
L’insegnamento originale del Budda, prima ancora che assumesse la forma di religione, poteva essere considerato un metodo psicologico per liberare ogni singola persona dalla sofferenza psichica, rendendola capace di vivere costantemente in uno stato di serenità.
Secondo il Budda la sofferenza è prodotta da una visione errata della realtà, l’ignoranza sulla vera natura delle cose.
Ogni essere umano ha in sé la natura di Budda (Stato di Buddità) , che è semplicemente lo stato naturale di non-nevrosi e che si manifesta con lo sviluppo di cinque aspetti propri dell’essere umano, ma che questi non è consapevole di avere: il controllo della mente, la presenza della realtà, la consapevolezza del cambiamento, il non-attaccamento e la compassione e dedizione verso gli altri.
La causa della sofferenza è, secondo la filosofia buddista, la falsa nozione della permanenza di un “Sé separato”: è l’esistenza di tutte le cose (natura interdipendente) a rendere possibile l’esistenza di ognuna di esse. La realtà è in continuo cambiamento e ogni cosa è condizionata da tutte le altre. Accettare la vita significa accettare l’impermanenza e l’assenza di un Sé, essere consapevoli della continua trasformazione della vita e di conseguenza liberarsi da ogni attaccamento. L’illuminazione del Budda non è altro che la retta comprensione o conoscenza della realtà.
Dato che la nostra serenità non dipende dalle situazioni ma dalla nostra reazione ad esse, sradicando le visioni erronee, praticando la coscienza del respiro e del pensiero si può arrivare ad ottenere, per quanto possibile, il vuoto mentale e la conseguente cancellazione delle sofferenze, rivolgendo la propria attenzione al presente, al qui e ora.
Dunque, è il pensiero la causa della nostra sofferenza psichica ed è ad esso che deve applicarsi il controllo della mente.
Il pensiero che produce sofferenza non è volontario ma è prodotto automaticamente dalla nostra memoria (inconscio): il pensiero involontario è la manifestazione della tensione derivante dai traumi registrati dal ricordo.
Nella condizione di nevrosi il pensiero che dà sofferenza è la quasi totalità della nostra attività psichica. Regola importante della meditazione è infatti “pensare di non pensare a niente, essere privo di pensieri” ed arrivare così ad un controllo quasi totale della mente.
La sofferenza ha tre cause immediate: le aspettative, la paura e i sensi di colpa. Tutti e tre infondati, prodotti della nostra mente. Una volta svuotato il pensiero sarà spontaneo rivolgere l’attenzione alla realtà, che è l’ambiente che ci circonda, l’unico reale.
Conseguenza quasi naturale, è l’attenzione agli altri: il Budda insegna infatti che gli uomini dovrebbero prendersi cura degli altri esseri viventi per favorire l’armonia nel mondo.
Lo stato di Buddità comporta la consapevolezza della distinzione tra il mondo della mente e il mondo della realtà. Questa consapevolezza deve diventare permanente, è essa che ci induce ad abbandonare il mondo della mente ed entrare nel mondo della realtà.
L’“Illuminazione”, apice dell’evoluzione della personalità e spirituale dell’essere umano, comporta dunque una crescita psicologica dalla personalità infantile a quella adulta, un abbandono delle aspettative e la conquista del potere del non-attaccamento, che non è altro che desiderio di ciò che non c’è.

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Letizia Cirri

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