Plauso generale per Jonathan Demme, che, in 121 minuti, con il toccante dramma ispirato a un fatto realmente accaduto sull’umanità di un uomo sieropositivo e la bellezza dell’amore, da autore auto-omodiegetico, senza mai retorica o moralismo spicciolo e scavando molto a fondo nella psicologia dei suoi personaggi, proietta lo spettatore in un mondo caotico contaminato da ipocrisie, ingiustizie, intolleranze ideologiche, omofobia, inquinamento, edilizia sfrenata e dimostra come le idee, spesso, si poggino, sostanzialmente, su fondamenta di fragile cristallo.
Un incasso di 25 milioni di dollari per i tanti entrelecements di cui è ricco il nucleo portante della microstoria che, “allargando il problema dell’accettazione a tutte le sfere e non confinandolo solo all’emarginazione omosessuale” (www.filmtv.it, 02/3/2010) , toglie il velo a torbidi maneggi della macrostoria, mentre il commento sonoro di Howard Leslie Shore, con le delicate note di “Streets of Philadelphia”, Oscar 1994, di “Philadelphia”, Nomination 1994, rispettivamente in tutta la prima parte e alla fine, e de “La mamma morta”, che percorre quasi tutta la tessitura, registra egregiamente i dettagli salienti, lasciando affiorare “il potere catartico della musica attorno al fango e alla miseria” (Jonathan Demme, leonardo.it , 16/6/2006). Bruce Springsteen, Neil Young e Maria Callas, infatti, accompagnano la messa a fuoco di quanti, “destinati a essere schiacciati dall’Aids e sottoposti al giogo dell’indifferenza, vedono il loro riflesso in una vetrina e non riescono più a riconoscersi” (www.attraversaremuri.wordpress.com, 05/12/12).
Philadelphia, coadiuvato da un cast eccellente, ruota attorno alle avventure esistenziali di Tom Hanks, Oscar come migliore attore protagonista, e Denzel Washington, paradossalmente dimenticato nelle Nomination individuali, dando vita a un’opera di impegno civile che sa anche commuovere e catturare le platee non solo con una tragedia più attuale di quanto si possa pensare, ma anche con lo sguardo dei vari attanti che, guardandole oltre la cinepresa, sembrano rivolgerle i mille perché che attanagliano le coscienze.
Ogni inquadratura pare nascere dal fluire organico degli eventi con estrema naturalezza; sin dall’incipit, tra i titoli di testa, nello scorrere dei fotogrammi, spicca un mondo “vero”, che dipinge, a 360°, tra i murales, le fontane, i ponti, le sopraelevate, i grattacieli, i palazzi, i musei, gli alberghi, gli ospedali, le pasticcerie, la Campana dell’Indipendence Square, funzionari con la ventiquattrore, operai che corrono per andare al lavoro, passanti che parlano e ridono, bambini che giocano e salutano, calessi che portano in giro i turisti, pescivendoli che mostrano orgogliosi la loro merce, accattoni distesi per le strade, uomini bianchi, neri, tristi, allegri su cui la mano del regista sembra non essere mai intervenuta.
Con un avvio in medias res, dal generale al particolare, dallo scorcio della città a una stanza, i due avvocati, Nomination Miglior coppia 1994, si scontrano in tribunale di fronte al Giudice Tate per l’impresa di ristrutturazione Kendall; Andy, tenero, generoso, tenace, che esercita per il più prestigioso studio legale della città, deve intervenire su un provvedimento cautelare richiesto contro la costruzione di un “monumento dell’ingordigia del genere umano per i danni causati dal costante martellio del cantiere e dagli effetti nocivi della polvere pestilenziale”. Riesce a dimostrare a Roberta Maxwell l’infondatezza delle accuse avanzate dalla controparte e, malgrado la difesa articolata e convincente di Jo, che lavora in televisione, accetta casi in partenza perdenti che non gli consentono adeguati sbocchi alla carriera e “non chiede soldi se non ottiene soldi per il cliente”, vince la causa e gli viene offerta l’opportunità di lavorare sul caso Highline contro Sander System. La società ha affidato l’incarico al “top gun dei giovani esordienti” basandosi sull’assioma di Charles Wheeler, secondo cui “aver fede significa credere in qualcosa che non si è in grado di provare e, nel caso, di Tom Hanks, l’aver fede è fuori questione”. Il successo gli appare all’orizzonte, la sua carriera è all’apice, ma … PATATRAC … Una ferita sulla fronte notata da Walter Kenton, i segni sul corpo, gli spasmi allo stomaco, la dissenteria, l’ipertermia, le continue corse in ospedale, le occhiate irrigidite di altri degenti, il patema d’animo di Antonio Banderas … e, per lui, in anticlimax, si prepara un avvenire drammatico, già proletticamente intravisto, d’altra parte, nelle perplessità della Dr.ssa Gillman e del dottor Klenstein a seguito degli esiti relativi alle ultime analisi di sangue.
Viene licenziato dall’influente studio legale perché, paradossalmente, appare “turbato e confuso” … perché “impudente” … perché “le sue prospettive, nella Wyant & Wheeler, sono ormai molto limitate e, quindi, gli amministratori non ritengono giusto farlo rimanere con loro”, tradito persino da quello che egli considera “il genere di avvocato che pensava di voler essere per la padronanza enciclopedica della legge, l’avversario temibile e brillante, il genere di persona che riesce a giocare tre set a tennis senza sudare, un autentico leader, insomma, che, sotto una superficie estremamente elegante, nasconde uno spirito avventuroso”.
La verità? Beckett, è gay, convive con Miguel, anche se il gran pubblico non assiste mai a un gesto di tenerezza palese e li si vede abbracciati solo a una festa in maschera mentre ballano travestiti da ufficiali di Marina. La sindrome da immunodeficienza acquisita, finora tenuta sotto controllo, si manifesta in tutta la sua entità, le difese organiche contro l’attacco di microrganismi patogeni sono ormai indebolite, il sarcoma di Kaposi (HIV), sintomatologia che compare nel 20% dei casi di AIDS, lo sta divorando e dà il ”la” a uno dei temi più spinosi di sempre che, però, fino a questo momento, non era mai stato rappresentato così efficacemente in un film ad alto budget; il letale mostro lo ha tradito e, per dimostrare con maggiore veridicità di aver toccato il fondo, Tom Hanks, inserito dall’American Film Institute al 49º posto nella categoria degli eroi di tutti i tempi nella storia della Settima arte, durante la lavorazione, eseguita dal 20 ottobre 1992 al 4 febbraio 1993, ha perso 12 chili …
Si rivolge, in un silenzioso e accorato monologo, a Philly, alla culla della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776, la “Città dell’amore fraterno, il luogo che chiama casa” le chiede, con struggente cordoglio, di “non voltargli le spalle, di non lasciarlo solo”, ma si rende conto che i sedicenti amici, “ragazzi e ragazze tra cui i segreti venivano svelati”, mantengono le distanze di sicurezza, “spariti e partiti”, coglie il peso della solitudine desolata, consapevole che “nessun angelo verrà a salutarlo”, analizza quello che lo aspetta. Tali percezioni sono amplificate da vari correlativi oggettivi particolarmente espliciti che vanno dall’immobilità smarrita dopo il rifiuto di Joe Miller ad assumerne la difesa, il decimo dal giorno del licenziamento, mentre i passanti gli scorrono davanti veloci e indifferenti, alla luce rossa del camino che si riflette sul suo viso durante la scena forse troppo retorica dell’estasi in cui egli piomba ascoltando “La mamma morta” intonata dal celebre soprano Maria Callas e al relativo commento inebriato, anziché preparare la deposizione per il giorno dopo, al suo plateale stramazzare a terra in tribunale … e queste connotazioni emergono con più evidenza nel momento in cui il regista, con un’iperbole inaudita, “trasfigura il povero ammalato attaccato alla sua flebo e lo staglia a emblema della figura di un Cristo martire” (www.filmtv.it, 09/3/2011) … Andrew, insomma, si è ormai rivelato categoria a rischio, non può recriminare, perché “l’Aids non è un flagello misterioso che colpisce a caso” (Luisa Calomino, Psicologia della Salute e Aids, Psicolab, 04/9/2008); la teoria cognitivista gli ha insegnato a dare un senso preciso agli avvenimenti, alle interazioni, alle diverse situazioni, ad assumersi le responsabilità degli effetti di determinate manifestazioni, “ad associare l’Hiv non a situazioni esterne, che ha contratto a causa di una trasfusione di sangue, o per un cancro che si manifesta all’improvviso, ma esclusivamente a sè stesso e alle sue abitudini” (Luisa Calomino, Ibidem) . Non si stupisce.
Egli SA BENE che, nell’immaginario collettivo, dal confronto tra Aids e cancro, per esempio, si avverte una più profonda comprensione nei confronti dei malati di cancro o di chi ha subito un errore nelle trasfusioni, come nel caso di Melissa Benedict, e una discriminazione più accentuata verso chi è stato invaso nel corpo“ (Luisa Calomino, Ibidem). SA BENE che “una persona, quando è considerata responsabile, viene in qualche modo svalorizzata e vista negativamente” (Luisa Calomino, Ibidem), SA BENE che si parla tanto di diritti inalienabili ma, quando si è viso a viso con un problema, i propri principi aprioristici zoppicano, vacillano, cadono … SA BENE che “il pregiudizio contro l’AIDS stronca brillanti iniziative, esige la morte sociale del malato e la morte sociale precede, accelerandola, la morte fisica” (Legge federale di riabilitazione professionale, 1973), SA BENE che “ogni problema ha una soluzione”, ma a patto che la si voglia trovare … A http:\\/\\/psicolab.neta, invece, valgono le precedenti esperienze alla Wyant & Wheeler, era benvoluto da tutti i suoi capi eppure la sua stella si oscura, lo abbandona all’unica prospettiva di camminare “lungo il viale sulle strade di Philadelphia finché le sue gambe non diventeranno di pietra” … Tra tanto smarrimento, un barlume di luce che gli fa superare il senso di isolamento e apre le porte al dialogo sulle preclusioni e sul lacerante senso di emarginazione dell’anima …
Denzel Washington, “granello di sabbia in una spiaggia ancora in prevalenza intollerante” (www.filmtv.it, 09/3/2011), dopo gli sguardi terrorizzati e le molte perplessità iniziali generate “dal sovrapporsi dei timori del contagio alla razionalità e alla conoscenza” (Luisa Calomino, Ibidem), come se l’Aids si potesse trasmettere con una stretta di mano o toccando un taccuino o sfiorando un sigaro, escluso ogni pericolo per Larice grazie alla professionale competenza di Bill Rowe nelle vesti del dottor Ambruster, guidato alla riflessione dalla dolce tenerezza di Lisa Summerour che scuote il “piccolo cavernicolo di casa”, prova ad ascoltare con le orecchie la voce del cuore, a risolvere le proprie contraddizioni virilmente, ad abbattere le sue resistenze, a crescere interiormente; l’incontro successivo in biblioteca, quando, in una scena eroicomica, cerca, prima, di eclissarsi dietro una pila di libri e, poi, supporta il collega di fronte al garbato quanto deciso “invito” di Tracey Walter a spostarsi “in una stanza privata per le ricerche per sentirsi più a suo agio”, gli fa vincere la repulsione per lo “stile di vita alternativo” di Tom Hanks. Sceglie la via giusta, ne sposa la causa e conosce veramente il suo cliente, la dolente Joanne Woodward, il sollecito Miguel Alvarez, la sorella, il fratello, i nipotini, tutta la famiglia, per la quale Andy non è mai stato un esponente di terza classe; si rende conto, infatti, che l’obiettivo dell’avvocato rivale, ormai rasato a zero e pieno di lesioni, non è quello di “entrargli nei pantaloni”, ma di rivendicare la libertà spirituale messa in discussione dal pudibondo conservatorismo.
In tribunale, la perorazione di Joseph va avanti senza sosta, accrescendo, con sempre maggiore veemenza, i significativi battibecchi con il legale di parte avversa, andando a fondo in nome della verità come se avesse 2, 4, 6 anni, anche servendosi di umilianti prove a cui sottopone il suo assistito sui segni evidenti sulla pelle, o di richiami alla carica di energia sempre manifestata dal grande lavoratore, di fronte a una spietata Mary Steenburgen che, con ogni strategia, cerca di coprire le reali responsabilità dello studio legale e … “FATTO, il rendimento di Andrew Beckett è variato da competente, sufficiente, buono fino a diventare mediocre e, in certe occasioni, scandalosamente incompetente … FATTO, egli afferma di essere stato vittima di bugie e inganni … FATTO, è riuscito perfettamente nella sua doppiezza … FATTO, Andrew Beckett sta morendo, è arrabbiato perché il suo comportamento sconsiderato ha abbreviato la sua vita e, nella sua ira, si scaglia contro il mondo e vuole che qualcuno paghi” … L’avvocato Belinda Conine, in definitiva, punta la sua tracotante arringa sulla responsabilità individuale di Tom Hanks, sull’inefficienza, sull’inaffidabilità, sulle frequentazioni illecite e indiscriminate pure in cinema porno in cui ha contratto l’Aids, ignorando le audaci impennate che avevano fatto reclutare “di prepotenza” l’esordiente più brillante, per le grandi potenzialità di eccellente avvocato tanto apprezzate da tutto lo staff …
E’ vero, Tom Hanks non ha mai riferito di essere gay, nemmeno al “padre adottivo”, questo è l’unico vero suo torto, ma come aprire il proprio cuore a chi ride di storielle oscene su “litri di yogurt caldo gettati sulla schiena”? Belinda Conine, comunque, malgrado le sue insopportabili anafore martellanti, indifferenti dello stato di evidente sofferenza del malato, non riesce a incantare la giuria né a liberare i soci dai pesanti indennizzi dell’ammontare, in totale, di 5.025,000 dollari per le retribuzioni arretrate e il mancato guadagno, per le sofferenze e le umiliazioni subite, per le sanzioni aggiuntive, da devolvere a favore del “loro pilota migliore” di cui si erano illecitamente liberati per il solo fatto che il “fuoriclasse” aveva contratto la grave malattia …
E il Giudice Garnett? L’atteggiamento di Charles Napier varia notevolmente nel corso del dramma processuale. Visibilmente a favore dello studio legale in principio, poi, via via che le prove sembrano sempre più a favore della società e, in apparenza, vengono confutati tutti gli interventi di Denzel Washington, si rende conto di avere davanti un valido collaboratore che, pur non avendo mai mostrato di non poter adempiere ai doveri richiesti dal proprio ruolo, è stato vittima di una grave discriminazione e destituito “non per demeriti individuali, ma piuttosto per la sua appartenenza a un gruppo con presunte caratteristiche”. Ulteriori riferimenti alla sentenza federale sull’Aids, L. 135 del 1990, che tutela la persona sieropositiva da distinzioni di carattere sociale, sanitario, lavorativo, al di là del colore della pelle, del credo politico o religioso, delle tendenze sessuali, gli precisano la decisa volontà di sottolineare come, nel consorzio umano, quello che veramente conta è solo la legge; secondo tale ottica, il comportamento di Jason Robards, in primis, ma anche di Charles Willer e tutto l’entourage della Wyant & Wheeler, pur comprensibile dal punto di vista etico, morale e umano, rappresenta una grave infrazione.
12,99 € ben spesi, dunque, per Philadelphia, un film del 1993, anno in cui la malattia, nonostante la sintetizzazione di farmaci come l’AZT, imperversava e i rimedi scarseggiavano, ma già pietra miliare della storia del cinema che non mostra i segni del tempo grazie al pregnante assioma affidato a Andrew Beckett. Il giovane avvocato vincerà la causa grazie alla difesa coraggiosa e appassionata di Joe Miller che influenza positivamente la giuria, ma sarà sconfitto dalla piovra che non perdona. Morirà? Fisicamente, forse, ma il suo spirito continuerà a segnare l’impronta indelebile di un arco vitale abbracciato e vissuto con la fervente sete di giustizia che lo ha sempre contraddistinto, sostanziato dall’idea secondo cui “1000 avvocati, anche se incatenati al fondo dell’oceano, potranno essere vincenti se amano il diritto, guidati dalla convinzione che lo studio del diritto, non sempre, ma a volte, diventi parte della giustizia, la giustizia applicata alla vita”.
Il malato di AIDS, insomma, malgrado tutte le difficoltà, pur sapendo che “la notte è vicina”, che, ”sdraiato e sveglio, si sentirà indebolire”, che, presto, chiuderà gli occhi per sempre, non perde mai il sorriso, cerca ancora di abbattere le pareti, di eternarsi nell’attimo che valga una vita intera, di trasmettere al pubblico, avviluppato in una società incapace di accettare il diverso, la forza propulsiva necessaria per schiudere il paesaggio interiore di chiunque si trovi in difficoltà.