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Professioni

La Mediazione Familiare e il processo giuridico della Separazione a confronto

Quando si parla di Mediazione Familiare non sempre chi ascolta ha chiaro ciò di cui si parla.
La coppia in crisi è persuasa che sia un modello di terapia di famiglia e non un aiuto per l’organizzazione pratica del dopo separazione e gli avvocati temono che la nuova professione possa sottrarre loro “clienti”.
D’altro canto perché dar a questi torto se in realtà non esiste ancora una cultura vera e propria sulla collaborazione avvocati e mediatori, né sui confini che li separano?
Si tiene sempre lontano ciò che non si conosce bene. e spesso però per la stessa ragione si tiene lontana anche la possibilità di capire e di .accogliere il nuovo, ciò che si distacca dalle idee precostituite.
Proviamo invece ad analizzare da vicino il ruolo di entrambi le figure professionali
Da una parte il mediatore familiare dovrà occuparsi dell’aspetto emotivo della coppia, contenendolo, e dell’aspetto pratico della riorganizzazione del sistema famiglia come i nuovi compiti, i nuovi ruoli, i nuovi aspetti sociopsicologici che coinvolgono anche la rete sociale di appartenenza.
Gli avvocati dovrebbero essere invece coloro i quali appoggiano il processo di mediazione certificando i diritti e i doveri dei coniugi così che essi possano essere consapevoli che a volte le loro sono pretese non conciliabili con la realtà e a volte invece la loro resa “immediata” alla volontà dell’altro è solo paura immotivata di perdere a prescindere.
Conoscere le leggi che regolano la separazione e il divorzio tra i coniugi rende il mediatore un agente di realtà soprattutto perché deve gestire la percezione che marito e moglie hanno del sistema giudiziario e trasformare “io sono contro di te” nel “siamo comunque ancora e sempre due genitori”.
Eppure perché dovrebbero cooperare queste due figure tanto diverse e tuttavia complementari nella trasformazione del conflitto fra i coniugi? Perché si limitano a vicenda se entrambi risultano indispensabili alla protezione dei figli coinvolti loro malgrado nelle liti dei genitori?
Vediamolo in modo semplice.
L’avvocato riceve una moglie che ha deciso di separarsi dal marito.
Le spiega quali sono i passaggi successivi all’incontro: “scriveremo una lettera a suo marito invitandolo a prendere contatto con me.. preferibilmente a mezzo dell’avvocato che lui ha designato”… Che spesso invece non ha designato ancora, perché l’iniziativa della separazione può anche non essere stata accettata né capita dal “convenuto”
Da questo momento in poi si avvia una procedura che malgrado inizi subito è invero lentissima.
Nel frattempo che la lite fra i coniugi si esaspera i legali delle parti (ora finalmente anche il marito ne ha uno)cominciano la trattativa.
E’ molto probabile che la Sig.ra chiamerà spesso il suo avvocato per discutere con lui cose non tecniche per le quali questo non è preparato, qualcosa come “.. sa mio marito non vuole che io cambi scuola al bambino e non vuole che frequenti lezioni perché, dice, spendo troppo. Ha capito come mi tratta? Non ha rispetto, parla come se io non fossi una buona madre, mi denigra.. ah ma io gliela faccio pagare sa, gli porto via il figlio, non glielo faccio più vedere..”
Lo sfogo della Sig.ra rivela sicuramente aspetti tecnico giuridici sulla bigenitorialità prevista dalla L.54/2006, tuttavia sono molti di più gli aspetti emotivi che lasciano intravedere l’idea di una battaglia senza soluzione di continuità che continuerà quindi a prescindere, anche dopo l’intervento del giudice.
In questo caso infatti sono anche in gioco emozioni e bisogni quali il riconoscimento come genitore per esempio e il bisogno di essere apprezzata.
Valutando entrambi gli aspetti, insieme, il mediatore familiare e l’avvocato potranno certamente giungere ad accordi biunivoci sulla gestione del bambino e sulle decisioni più importanti da stabilire.
E invece il conflitto aumenta ancora e ogni minuto che scorre si amplifica inficiando ogni giorno in più le certezze e la tranquillità del figlio.
La Sig.ra sarà sempre più frustrata e cercherà in ogni modo possibile di colpire l’ex marito il quale a sua volta reagirà con violenza agli attacchi in un escalation di lite che andrà ad influenzare l’intera famiglia.
Nella guerra anche gli avvocati non trovano un accordo, sobillati l’uno contro l’altro da entrambi gli ex coniugi.
Decidono pertanto per il ricorso e ancora scorre il tempo.
Il presidente fissa la data dell’udienza e convoca le parti.
L’orologio e il calendario segnano la spirale del conflitto che se anche fino ad allora i legali della coppia che vuole separasi erano riusciti ad abbassare a livelli più accettabili, trascorrendo il tempo, questo esplode in tutta la sua potenza e molti sono gli avvocati(per fortuna non tutti)che sfiniti ed estenuati dai coniugi avranno cominciato a reagire con veemenza l’uno contro l’altro o peggio ad abbandonare l’incarico.. Conclusione? Ogni attore del dramma recita la sua parte con rabbia e confuso spesso dall’intrusione di un ruolo sull’altro, spesso identificandosi con il rappresentato.
A volte identificandosi talmente bene da reagire lui stesso come scudo a qualsiasi altra possibilità si apra per la riduzione del conflitto.
Nel tempo però si fomenta il fuoco, e il fuoco che divampa è improbo da spengere soprattutto in presenza del vento di guerra che soffia.
..e a poco riesce il sistema giudiziario.
Piuttosto anche questo diventa ben presto un reagente chimico.
La legge infatti non può prendersi in carico il riconoscimento delle strategie e dei bisogni dei contendenti e non può quindi dare risposte soddisfacenti alla loro forte conflittualità, creando invece negli ex coniugi un disagio maggiore e una maggiore insoddisfazione..
L’iter giudiziario, con il suo linguaggio, i suoi riti, le sue coreografie, finisce pertanto con rinforzare il dissenso e l’animosità della coppia, penalizzando i figli, là dove dovrebbero essere invece salvaguardati.
Il bambino nelle mani dei coniugi diventa l’arma contundente che ognuno usa contro l’altro e il capro espiatorio di entrambi per liberarsi dai sentimenti negativi che nascono nella lite.
Chi “cura” il bambino si fa forte “legalmente” di quella “cura” per ottenere una “vendetta” che spesso si maschera dietro copiose richieste di valore economico: la casa piuttosto che la rivendicazione di un esagerato assegno di mantenimento.
Tuttavia le pretese nascondono il più delle volte l’esasperazione, la rabbia e il risentimento.
Durante le udienze presidenziali, di fronte al giudice “sfilano” di fatto i teatranti della guerra e gli aspiranti vincitori.
A volte per respirare quel conflitto è sufficiente lanciare uno sguardo ai fascicoli in attesa di elaborazione, che il cancelliere di volta in volta passa al giudice: il numero di pagine testimonia il numero di battaglie combattute fino a quel momento dai coniugi.
Altre volte è sufficiente guardarli entrare, accompagnati dai loro avvocati, tesi e pronti a colpire.
L’udienza presidenziale è la rappresentazione del dramma in tre atti.
Nei primi due atti si consuma l’ascolto delle parti: è la guerra del “io vincente” contro il “te perdente”; è la guerra dei torti contro le ragioni.
La lotta è cruenta, gli sguardi sono carichi di tensione, a volte carichi di odio, di rabbia e in qualche caso al conflitto è sovrapposta la violenza, verbale e soprattutto non verbale: la loro postura, i loro sguardi, le gambe in tensione, i muscoli irrigiditi valgono più di mille parole.
Spesso uno dei coniugi si sente in difficoltà, deglutisce ed è palese che la sua verità cela una bugia di cui è consapevole.
Il terzo atto vede infine il giudice come deus ex machina, è lui ora il protagonista: nella deresponsabilizzazione delle proprie colpe le parti lasciano infatti che a decidere sia un terzo direttivo.
Il giudice ascolta entrambi, li guarda, li osserva, li lascia parlare, anche più del dovuto in alcuni casi, per carpire un’emozione, un’incongruenza: di fronte a lui la tensione è alta e alta è il desiderio di affrontarsi e “vincere”
E tuttavia .… “là dove sembra regnare la pace e l’armonia totale, cova inesorabilmente la malattia” scrive il Prof. Stefano Carta in “La vita familiare. Strutture, processi , conflitti” .
Da una parte dunque parliamo di trasformazione, il superamento delle emozioni negative nate nel e dal caos degli accadimenti; dall’altra anche di opposizione dicotomica tra un vincente e un perdente, tra un “io e un tu” allargato al sociale nel “noi” contro il “voi”, in una escalation in cui alla guerra si risponde con la guerra.
Gli stati emozionali di sentimenti quali la rabbia o la paura in realtà sono estremamente funzionali all’individuo e alla società, soprattutto nel riconoscimento del pericolo, eppur tuttavia estremamente negativi se perpetuati e non gestiti.
I coniugi, infatti, non riuscendo quasi mai a riconoscere di esserne offuscati vengono trascinati dalla forza dei loro sentimenti e, non potendo interrompere la disputa fra di loro scatenatasi nelle e per le emozioni distruttive di cui sono preda, dopo una battaglia spesso estenuante, sostenuta con l’ausilio dei reciproci avvocati.si affidano alla decisione “super partes” di un terzo, quale è il giudice.
Le emozioni negative, tuttavia, nella confusione e nella velocità degli accadimenti non permettono alla coppia né di ricordare di essere genitori né come tali di dover pensare soprattutto al benessere dei propri figli.
È in virtù di questo che il mediatore deve conoscere i diritti dei bambini e come la legge li tutela se vuole favorire un ritorno degli ex coniugi alla genitorialità e gli avvocati devono conoscere invece come lavora il mediatore per costruire una cooperazione efficace a tutela del minore.
Il giudice, invece, per quanto scrupoloso e di buon senso sia, non può cogliere realmente il contesto socio-familiare in cui il tutto accade né può, per quante relazioni tecniche riesca a studiare e pur aiutandosi con l’ascolto del bambino( là dove possibile) sostituire la genitorialità, se non quando la violenza familiare mette in serio pericolo l’incolumità del figlio.
La delega a terzi della decisione interrompe quindi ogni possibilità di comunicazione, di responsabilizzazione e di crescita, soprattutto riversandone le conseguenze sia in costi economici che di ordine comunitario all’interno della società.
Uno dei maggiori costi che lo stato deve sostenere infatti è quello determinato dalla violenza, e della sanità.
Il conflitto spesso viene vissuto sulla base di rapporti violenti e i rapporti violenti si traducono in maltrattamenti familiari sino a giungere all’estremo della morte.
La decisione di uno dei due coniugi di andare via, crea nell’altro sentimenti che non sono solo e tanto di dolore personale e rivalsa quanto anche di decostruzione di una vita insieme, punto di riferimento dell’identità.
La moglie o il marito vissuti come proprietà che a prescindere non si vuole che appartengano ad altri. Anche perché questo potrebbe essere indice di proprie incapacità, di non essere all’altezza.
Gioca molto anche l’aspetto simbolico della vita che si condivide.
Una casa non è solo la casa, ma è il rifugio, l’identità, le abitudini; un figlio non è solo un figlio, ma è l’appartenenza, il riconoscimento che una parte di noi prosegua.
Tuttavia al di là degli aspetti emotivi esistono i diritti e i doveri degli ex coniugi fra di loro e dei genitori verso i figli.
Diritti e doveri che solo l’avvocato può prendere in carico.
È piccolo e veloce il passo dal conflitto alla violenza ai costi che lo stato dovrà a prescindere sostenere, case famiglia, piuttosto che case per la protezione della donna, piuttosto che processi in gratuito patrocinio ecc..
Pertanto per quanto la coppia dovrà rispettare un imposizione giudiziaria non avrà comunque risolto né composto la sua lite a sicuro scapito dei bambini, ma anche della rete sociale di appartenenza.
Non solo, la coppia non sarà capace di ricostruire un nuovo assetto familiare, in quanto non adeguata a “riconoscere” se stessa in un nuovo ruolo, ognuna delle parti con una identità diversa da quella fino ad allora interpretata.
Attorno a loro, come individui e come genitori, cambia di fatto l’assetto socio economico cui doversi riadattare, per il benessere proprio ma sopra ogni cosa dei bambini.
È difficile pertanto che il mediatore familiare raggiunga una sua completa professionalità non conoscendo le leggi che regolano la separazione e il divorzio tra i coniugi, per evitare loro lo scontro in un iter giudiziario, che mai si prende cura dello stato emotivo sempre preponderante in un momento di crisi, neppure quando gli avvocati di parte sono sensibili e di giudizio.
E’ infatti la percezione che marito e moglie hanno del sistema giudiziario a perpetrare il conflitto, sono io contro di te, e solo questo per loro in quel contesto ha un senso.
Sta alla capacità del mediatore familiare di gestire quel momento perché il cambiamento previsto sia o meno precursore al nuovo benessere.
Ma il mediatore deve anche poter e saper collaborare con le altre figure che “lavorano” in una separazione, perché una migliore collaborazione è già l’indice dell’auspicata tranquillità degli ex coniugi e il riconoscimento della loro genitorialità per la crescita complessiva del bambino, di cui lo stesso ha il diritto, riconosciuto e protetto a livello mondiale.
È difficile ricomporre un conflitto dettato dalle emozioni, dalla disillusione di una vita insieme(anche se qualche volta sono pochi mesi!!) e non è possibile farlo con il linguaggio giuridico che di per sé è linguaggio di guerra di “io contro di te” “io vinco” e “tu perdi”
Una famiglia è una rete di sentimenti e di rapporti, un nodo scorsoio… non solo un contratto bilaterale. Più si tira più si stringe fino a che per sciogliere la corda è necessario usare le forbici e nel taglio qualche pezzo si perde(spesso i figli!!).
L’unica possibilità è con pazienza e attenzione guardare quale parte del filo può essere utile a lasciare andare l’altra.
Gli avvocati e il giudice avvertono pertanto il mediatore che esistono dei nodi in fieri, e il mediatore interviene, l’avvocato controlla che la corda si stia piano piano sciogliendo e se si accorge che questo non accade, interviene ancora una volta.
Il suo compito è di ristabilire la consapevolezza del diritto, entro cui contenere le pretese e le rivendicazioni, là dove il mediatore porterà invece i coniugi a svelarne i bisogni sottostanti.
È solo in questo modo che nell’udienza presidenziale il giudice potrà finalmente sospirare “:.. Signori la corda è sciolta!”
Non “vissero tutti felici e contenti” ma smisero di stringere il nodo scorsoio al figlio. Eh si, mi ero dimenticata di aggiungere che nel mezzo del groviglio che si stringe c’è un bambino, che non respira .Gli avvocati in questo lungo e prezioso iter hanno la parte dei protagonisti buoni, coloro i quali possono essere il deus ex machina della storia, collaborando con i mediatori familiari…solo che ancora non lo sanno!

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Elisa De Acutis