In un recente lavoro pubblicato sulla rivista Nature, un laboratorio tedesco ha dimostrato un potenziamento della memoria dichiarativa attraverso una blanda stimolazione elettrica del cervello durante il sonno non-REM. Si tratta della prima evidenza del ruolo causale dei potenziali lenti endogeni nel consolidamento della memoria associato al sonno.
Il sonno è un comportamento ampiamente diffuso nel regno animale. Perfino il moscerino della frutta, la Drosophila tanto utilizzata nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, ha un suo ciclo di sonno e veglia.
Se è ormai accertato che dormire rappresenta un bisogno essenziale del nostro organismo, tanto che passiamo dormendo circa un terzo della nostra vita, meno chiari sono i motivi fisiologici per cui il sonno è così critico per il nostro benessere.
Una delle teorie più diffuse è che il sonno sia necessario per il consolidamento della memoria delle esperienze occorse durante il giorno. Non è chiaro tuttavia attraverso quale meccanismo ciò avvenga. Alcuni scienziati ritengono che siano le modificazioni dei livelli cerebrali di neurotrasmettitori, quali l’aceticolina, la noradrenalina e la serotonina, a determinare la fissazione delle esperienze vissute durante la veglia.
Secondo il gruppo di Jan Born del dipartimento di Neuroendocrinologia dell’Università di Lubecca (Germania), invece, sarebbe propria l’attività a bassa frequenza (minore di 1 Hz), tipica di del sonno non-REM ed originata prevalentemente dalla corteccia prefrontale, ad attivare i processi della memorizzazione attraverso il consolidamento di nuove connessioni sinaptiche.
Per dimostrare che le oscillazioni elettriche non sono meri epifenomeni dovuti alla attività sincrona di reti neurali ma sono il meccanismo causale del consolidamento, hanno utilizzato blandi stimoli elettrici durante la fase del sonno NON-REM.
Nell’uomo il sonno viene distinto in REM (rapid eye movements) e non-REM. Quest’ultimo viene ulteriormente diviso in quattro stadi, ciascuno caratterizzato da un ben definito pattern di attività elettrica oscillatoria, misurabile con un elettroencefalogramma. Nel sonno REM si osservano della onde theta a 4-8 Hz. Nello stadio 1 del sonno non-REM vi è una fase di transizione tra la veglia completa ed il sonno, con un pattern eterogeneo di frequenze. Lo stadio 2 è caratterizzato dai cosiddetti fusi del sonno (sleep spindles, 12–14 Hz) mentre le onde delta (1–4 Hz) sono caratteristiche dagli stadi 3 e 4, chiamati collettivamente sonno ad onde lente.
I fusi del sonno e le onde delta si raggruppano in un pattern oscillatorio a più bassa frequenza noto come oscillazioni lente corticali (<1 Hz) che sono quelle studiate nel lavoro pubblicato su Nature. Nello studio, a 13 studenti di medicina è stato richiesto di memorizzare 46 coppie di parole prima di addormentarsi. Sono stati quindi stimolati con una debole corrente elettrica a 0.75 Hz per 5 minuti, attraverso quattro elettrodi posizionati sullo scalpo, mentre erano nelle prime fasi del sonno NON-REM, in corrispondenza delle onde lente. Gli studenti sono stati quindi lasciati dormire tranquillamente fino al mattino quando sono stati testati di nuovo per lo stesso compito. E’ noto dalla letteratura che, dopo una notte di sonno, la performance nei compiti legati alla memoria migliorano. Coerentemente, il gruppo di controllo ricordava in media 37.4 parole prima di andare a dormire e 39.5 dopo. Tuttavia, il gruppo che aveva ricevuto la stimolazione elettrica ricordava 36.5 parole prima e 41.2 dopo il trattamento, dimostrando un significativo aumento nel processo di consolidamento. Gli autori sottolineano che il miglioramento è ancora più rimarchevole in quanto ottenuto in un gruppo di soggetti già allenati a memorizzare informazioni, degli studenti universitari. Per dimostrate la specificità della frequenza di stimolazione, i ricercatori hanno ripetuto l’esperimento utilizzando una frequenza di 5 Hz, tipica della fase REM, ma non hanno trovato alcuna modificazione della memoria dichiarativa. Inoltre non si è osservato nessun effetto nemmeno se la stimolazione avveniva alla fine della notte invece che all’inizio. I ricercatori hanno anche verificato che la stimolazione elettrica facilitasse selettivamente la memoria dichiarativa, quella legata ai circuiti neuronali ippocampali. Non vi era infatti nessuna influenza sulla memorizzazione di una sequenza di tamburellamento delle dita, un tipico esempio di memoria procedurale. Ciò è in accordo con le teorie correnti secondo le quali il consolidamento della memoria procedurale è legato al sonno REM. Dobbiamo aspettarci di trovare presto sul mercato un memo-stimolatore notturno? Sicuramente non nel breve periodo anche se di certo molte compagnie troveranno l’idea allettante. Sarà prima necessario valutare tutti i possibili effetti negativi di una stimolazione prolungata del cervello, un procedura che dovrà essere effettuata in un ambienti opportuni, sotto lo stretto controllo di personale medico.