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Scuola

Sapersi pensare liberi

Questa è una bambola vera, che cammina e muove i suoi passi sicura, che se cade si rialza, che canta il motivo di una vecchia canzone, che infine ringrazia e dice il suo nome.
Parlano bambini di 3° elementare.
Paolo: Una bambola anche se fa fare tante cose è finta perché non si confonde.
Elisa: Una bambola non è libera perché non può scegliere, non può decidere, non può scrivere, se va a terra non sente dolore.
Francesco: Sono gli uomini che costruiscono le bambole, le programmano come devono funzionare e le bambole non si possono rifiutare ai comandi, se premi il tasto che fa cantare, la bambola canta.
Vincenzo: Se non lo fa significa che è rotta.
Mara: Invece le persone se non sanno fare le cose non sono rotte, è solo che hanno bisogno di tempo per pensare e decidere.
Rosa: Le bambole ripetono sempre gli stessi movimenti, le persone improvvisamente fanno qualcosa che non avevano mai fatto prima, per esempio suonano una musica nuova.
Elisa: Oppure scrivono un libro che nessuno mai aveva scritto ancora.
Paolo: Tutti gli scienziati del mondo possono unirsi e costruire una grande siringa che tira via dall’aria tutto l’inquinamento.
Vincenzo: Gli scienziati possono anche decidere di inventare un’arma che distrugge tutti gli uomini.
La bambola è finta perchè non si confonde e non avverte dolore. E non è libera perchè non le vengono d’improvviso pensieri nuovi come capita alle persone. Tutto ciò che ha a che fare con la vita -la libertà, l’essere veri e non artefatti, la sofferenza- dice di fragilità e rimanda alla cura che ad essa si deve.
Dove anche il parlare non sia scontato come invece accade, ma fragile anch’esso, fatto di pause, di silenzi, di un cercare sostegno nello sguardo dell’altro.
Decostruire i pensieri dei bambini per ritrovarci un po’ di quelle verità che sembrano non appartenere più al mondo di noi adulti.
Sono libera se il mio pensiero e la mia azione rappresentano un inizio, come una decisone che può influire sulla realtà.[1] Sulla realtà si può influire in vari modi, posso disporre che vengano tagliati tutti gli alberi di una foresta, o anche decidere di riversare nelle acque di un fiume sostanze tossiche.
Potrei volere per me un cielo pulito, sgombro dai fumi delle fabbriche, potrei pensare di uccidere tutti quelli che, a mio parere, sono coinvolti nell’opera di attacco all’ambiente. E, in questo mio gesto, dichiarare al mondo la mia libertà, salvo poi capire, un attimo dopo, che la mia azione ha prodotto anche la perdita della MIA libertà.
Com’è possibile? Dunque non sono io libera di respirare aria pulita? E di eliminare tutti quelli che la inquinano?
Se, naturalisticamente, io sono libera di uccidere, non lo sono, però, giuridicamente (e anche moralmente) perché, pur trasformando in atto la mia potenza (o forza), andrei incontro a una sanzione come la reclusione che, e non è un caso, limiterebbe la mia libertà, come in una sorta di contrappasso dantesco.
Quanto basta per indurci a riflettere sul fatto che lo Stato, che Nozick auspica come assente usando l’espressione di Stato minimo tale da sembrare anche se non lo è mai, si renda ineliminabile regolatore della libertà.
Cos’è la libertà? Provo a dire cos’è e inevitabilmente prendo a parlare di ciò che potrei pensare/dire o fare.
Capisco così che la libertà è in me, quale elemento costitutivo del mio stesso essere. Parlare di libertà significa, in ultima analisi, parlare di me.
Potrei identificare la libertà con la possibilità o, se si preferisce, con la capacità di ipotizzare . L’inizio della mia libertà consiste non nell’agire ma nel pensare la libertà, nel puro ipotizzare; “Potrei…” Un attimo dopo lo sconfinato orizzonte che mi si apre davanti guardando al mondo della possibilità e dell’ipotizzare, si creano, però, una serie di limitazioni o meglio di incanalizzazioni delle varie ipotesi che avevo formulato.
La libertà di ipotizzare, che corrisponde a uno stato puramente mentale e immaginario, non si esercita fine a se stessa ma sempre in vista di un successivo esercizio di un’altra libertà, pur sempre alla prima collegata, che è quella di agire.
“… risulta evidente che non ogni scelta è libera, ma solo quella che include la garanzia della propria possibilità. Se ho deciso liberamente, ciò che ho deciso posso incessantemente continuare a deciderlo, perché la mia decisione garantisce se stessa. Se ho deciso male, o anche se ho sbagliato (come è sempre possibile), la mia decisione si ritorce contro di me, mi mette in un vicolo cieco e mi rende impossibile ogni rapporto con me stesso e con gli altri. In questo caso io non sono e non mi sento libero, perché quella forma o quel modo d’essere di me stesso che la possibilità scelta illusoriamente mi prospettava, mi si è rivelato impossibile. L’uomo è libero soltanto tra gli altri uomini…Ma affinché questo sia possibile, la decisione del singolo, quale che sia, deve sempre includere e garantire la possibilità dai rapporti con gli altri; perciò solo in questo caso è libera. Sono, queste, considerazioni molto semplici, che non hanno bisogno di esemplificazioni. Mi fermerò ad un unico esempio molto istruttivo. Si discute ancora, soprattutto dopo le tristi esperienze recenti, su ciò che si deve intendere per un governo libero o per una libera costituzione statale. La risposta più ovvia, suffragata dalla tradizione del giusnaturalismo, è che un governo libero è quello scelto dal popolo. Ma questa risposta non basta; sappiamo che un popolo può scegliere e mantenere un governo non libero. Bisogna dire quindi che un governo libero è solo quello che garantisce al popolo la possibilità della scelta; e che solo questa possibilità garantita fa di esso un governo di uomini liberi. Ancora una volta, non ogni scelta è libertà, ma è libertà solo quella scelta che garantisce a se stessa la sua possibilità[2]
Libertà: provo a formulare una serie di domande nel tentativo di darne una definizione:
· Libertà è ribellarsi?
· Libertà è opporre resistenza?
· Libertà è poter avere?
· Libertà è poter rifiutare?
· Libertà è dire si?
· Libertà è dire no?
· Libertà è pace?
· Libertà è violenza?
· Libertà è uguaglianza?
· Libertà è stare da soli?
· Libertà è stare insieme agli altri?
Ma forse conviene rapportarsi alla libertà senza cedere alla tentazione di “ingabbiarla” (e, quindi, svuotarla) in definizioni (cos’è la libertà?), strumentalizzazioni (a cosa serve la libertà?), progetti politici (come può aversi la libertà?).
Forse, paradossalmente, il modo migliore per “esercitare” la libertà e per rapportarsi ad essa sarebbe proprio una coltivazione del silenzio perché parlare della libertà è già un po’ negarla o, quanto meno, limitarla. E’ nel non detto e nell’inespresso esprimibile che nascono germogli di libertà, molto più promettenti dei frutti già nati dalle parole di cui sono composti innumerevoli trattati sulla libertà.
Sapersi pensare liberi è avere tempo, in una scuola che tempo non ha.[3]
Tempo per i silenzi, tempo per le cose non dette che stanno in uno sguardo, in un pensiero che fatica a diventare parola.
Tempo per chiedere ragioni: “Perché ti devo ubbidire?” Contro ogni potere indiscusso, contro ogni posizione arbitraria, contro ogni “E’ Così” che non ammette replica.
E la gioia dell’adulto-insegnante che nella richiesta degli alunni di ragioni sul perché si deve ubbidire, sa leggere non il fallimento del proprio lavoro ma parole di libertà.
Sapersi sentire liberi con e attraverso gli altri.
Francesco e Roberto, alunni di 4° elementare litigavano spesso. Un giorno si discuteva della paura, se la si poteva ricondurre a cause esterne al pensare della persona oppure era il pensiero causa della paura. Roberto ribadì che occorre sempre che intervenga una causa esterna a turbare i pensieri e dimostrò la sua tesi con molti esempi. Francesco lò ascoltò con attenzione poi chiese di parlare e spiegò che spesso di sera, quando andava a letto nella sua cameretta, cominciava a diventare prigioniero di cattivi pensieri, fino poi a cadere vittima di una paura grande per cui correva nella stanza dei genitori piangendo. “Vero” esclamò Roberto, “hai ragione!”. Sapersi rallegrare di essere stati scoperti in errore. Roberto continuò rivolgendosi a Francesco “Quello che hai detto mi aiuta a capire di più”.
Questo coraggio dell’errore non significa solo che egli abbia il coraggio di sopportarlo, ma molto di più: il coraggio di ammetterlo, questo coraggio è cioè quello dell’intimo sacrificio del proprio se stesso nella capacità di ascoltare e imparare, il coraggio del dibattito positivo.
Oltre ogni possibile riforma, esiste al mondo un grande movimento educativo teso a promuovere l’educazione alla libertà, che passando per Freire, Freinet, Montessori, Capitini, Don Milani, ecc, arriva a noi e si veste di altri colori tanto da sembrare altro, qualcosa di cui mai si era fatto cenno.
Fare filosofia con i bambini, è riprendere un vestito d’altri tempi e dargli colore.
A cosa dovrebbe servire, orami da più parti se ne elencano i possibili obiettivi: formativi, cognitivi, sociali, ecc., trascurando di parlare del SAPERSI PENSARE LIBERI, quale condizione dell’essere umano da promuovere, mai pienamente raggiunta, in cui l’uomo sa farsi vigile rispetto ai propri errori di pensiero e agli errori della società, poiché il prezzo della libertà è proprio l’eterna vigilanza.

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Pina Montesarchio

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