Per indagare lo sviluppo morale, Piaget utilizzò il metodo clinico, consistente nel porre ai bambini domande relative a questioni morali, riferendosi a fatti comuni come raccontare bugie, sottoporre a castighi, usare criteri per la distribuzione di cose, o usando storie inventate in cui valutare il comportamento dei personaggi.
Piaget distinse due forme di moralità:
Il realismo morale: prevalente fino agli 8 anni, esso si collega ad una prospettiva egocentrica del mondo e al predominare di un modo di pensare realistico del periodo preoperatorio; può essere detta anche morale eteronoma, la cui validità dei principi, rigidi e immutabili, è determinata dall’autorità di chi li ha emanati e dalla capacità dell’autorità stessa di farli rispettare con adeguate sanzioni in caso di trasgressioni. Le intenzioni e il contesto hanno scarso rilievo rispetto alle conseguenze, si parla dunque di responsabilità oggettiva: rompere 15 tazze involontariamente è considerata azione più grave del romperne una sola mentre si cerca di rubare la marmellata. In questa ottica giusto e sbagliato sono definiti una volta per sempre. Emerge la nozione d isanzione espiatoria, legata all’idea che ad ogni trasgressione debba seguire una punizione severa, moralmente obbligatoria e conseguenza naturale e necessaria, punizione che verrà dalle persone o dai fatti (giustizia immanente). La disobbedienza è una rottura dei rapporti normali coi genitori, è necessaria quindi una riparazione, e dato che i genitori manifestano giusta collera con le reazioni tipiche delle punizioni, accettare tali punizioni è la più naturale riparazione: il dolore inflitto sembra ristabilire le relazioni momentaneamente interrotte e l’idea di espiazione prende corpo nei valori della morale dell’autorità. Il progresso nella cooperazione e nel rispetto reciproco elimina il carattere espiatorio della sanzione e porta a far prevalere l’aspetto della riparazione o dell’osservanza dell’obbligo reciproco. Tale reciprocità (ti do tanti pugni quanti ne ho ricevuti) viene gradualmente depurata dagli aspetti contingenti e personali e assume un carattere più universalistico, dove il progresso cognitivo trasforma una reciprocità di fatto in una di diritto. La bugia è cattiva perché può comportare punizioni, poi diverrà qualcosa di cattivo di per sé e più tardi negativa perché danneggia la fiducia reciproca. La gravità di una bugia è valutata in base al grado di discrepanza rispetto alla realtà e in base alla probabilità che essa sia creduta, dunque è più colpevole chi la racconta più grossa. Lo scarso peso attribuito alle conseguenze è per Piaget anche legato all’esempio dato dagli adulti, che spesso puniscono proprio in base alle conseguenze dei comportamenti; ciò fa riflettere su come sia possibile orientare la pratica educativa in modo da favorire la crescita di una responsabilità soggettiva.