C’è un conflitto di fondo tra il principio di base dell’ambientalismo (dovremmo consumare meno) e lo stile di vita ideale, in grado di far sentire il cittadino a posto con la coscienza.
La domanda di energia mondiale continua a crescere con tassi di incremento sostenuti nonostante l’incremento dei prezzi delle fonti fossili tra il 2006 e 2007. Secondo i dati rilasciati da Enerdata sul proprio sito internet, come di consueto in questa parte dell’anno, la domanda globale lo scorso anno ha fatto registrare un incremento del 2,8%.
Il capo del Governo propone che venga fissato un valore massimo per il prezzo del petrolio. Se questo venisse superato, i Paesi occidentali dovrebbero lanciare un programma di 1.000 centrali nucleari. Idea molto strampalata.
Nessuno, neanche i Paesi produttori, sarebbe in grado di definire una soglia massima. Abdullah, re dell’Arabia Saudita, aveva appena promesso il mese scorso di innalzare la propria quota di olio nero che subito il prezzo del greggio ha subito una nuova impennata.
In realtà fin quando la domanda di Cina, India e altri Paesi continuerà a tirare, le pressioni sul prezzo del petrolio proseguiranno. E lo stesso dicasi per l’impatto delle tensioni internazionali. La speculazione, su cui molti puntano il dito, certamente interviene, ma non è la causa della crescita dei prezzi. Sfrutta semplicemente la percezione di possibili aumenti futuri.
Tornando a Berlusconi, sembra dunque alquanto stravagante la proposta di calmierare il prezzo del petrolio come si faceva con il pane. E ancora più bizzarra risulta la risposta minacciata: dieci, cento mille centrali nucleari. Una decisione collettiva di buttarsi sull’atomo non si materializzerebbe infatti prima del 2020 e nel frattempo il petrolio seguirebbe le proprie dinamiche. La proposta pare poi ulteriormente balzana considerando che il nucleare sostituisce carbone e gas, ma non il petrolio. Ma chi consiglia il capo del Governo?
Il nostro principale obiettivo deve essere impedire che i ghiacci della Groenlandia e dell´Antartico occidentale si sciolgano. L´unica cosa che dobbiamo chiederci a proposito dei cambiamenti climatici è come evitare che ciò succeda. Sono uscite decine di libri e sembrano dare tutti una risposta: possiamo salvare il mondo scegliendo uno stile di vita più saggio e più verde.
“Nessuno di questi cambiamenti è un sacrificio”, dice Sheherazade Goldsmith nel suo nuovo libro dove ci spiega “come vivere entro i limiti della natura”. “Essere più coscienziosi non significa rinunciare alle cose”. E invece sì, soprattutto se si possiede più di una casa come lei, mentre c´è gente che non ne ha neanche una.
Rinunciare alle cose può essere brutto sia per i governi sia per i loro cittadini, ma è una componente essenziale dell´ambientalismo. La spesa etica ci consiglia di comprare cibo biologico, prodotti di stagione, locali, sostenibili o riciclati. Ma non ci dice mai di comprare meno.
Le statistiche del GSE sull´elettricità da fonti rinnovabili in Italia nel 2007, dicono che la quota sulla produzione totale è in calo, eppure eolico e solare confermano la loro ascesa.
Una delle caratteristiche della società moderna è la presenza di un diffuso atteggiamento consumistico e di una tendenza ad incoraggiare il comportamento d’acquisto, spesso alimentando falsi bisogni che hanno gradualmente trasformato il possesso del prodotto in una vera e propria fonte di felicità, in uno strumento per costruire una identità sociale accettata e gradita, considerando lo shopping persino una tecnica per scaricare le tensioni di una giornata difficile.
Una conseguenza di questa condizione sociale generale è rappresentata dall’estrema difficoltà a segnare il confine tra acquisto normale e patologia dell’acquisto; pertanto i fenomeni di acquisto compulsivo, definiti anche consumopatie, come la sindrome da shopping, rappresentano spesso il risultato dell’incontro e intreccio tra una manifestazione del disagio individuale e uno stile di vita proposto, alimentato ed esaltato a livello sociale, in una società in cui si fa sempre maggiore spazio l’acquisto del superfluo.
Il consumismo verde sta diventando una piaga del pianeta. Ormai ci sono due mercati paralleli: quello dei prodotti immorali e quello dei prodotti etici, e l´allargamento del secondo mercato non frena la crescita del primo. Affoghiamo nella spazzatura ecologica: negli ultimi mesi i nostri armadi si sono riempiti di borse di cotone biologico che, piene di sacchetti di tè al ginseng e sali da bagno all´olio di jojoba sono ormai un regalo obbligatorio. Ho scorte per diverse vite di penne biro fatte con carta riciclata e una mezza dozzina di caricabatterie solari in miniatura per apparecchi che non possiedo.
In nome della consapevolezza ambientale abbiamo creato nuove opportunità per smaltire il capitale in eccesso. Spesso ci dicono che comprare prodotti bio o riciclabili incoraggia a riflettere sui problemi dell´ambiente.
Nessun problema politico può essere risolto facendo acquisti.
Le classi medie cambiano facciata alla loro vita, si congratulano con loro stesse perché rispettano l´ambiente, ma poi continuano a spendere e ad usare l´aereo come prima, a comprare suv. È facile immaginare un mondo che compra religiosamente prodotti biologici e le sue emissioni di anidride carbonica continuano ad aumentare.
Sul settimanale “D la Repubblica delle donne” è stata fatta un’inchiesta sulla politica delle eco mamme. Queste donne riciclano. Educano al verde. Consumano solidale. Negli Usa cominciano a diventare quasi un movimento. Quello verde è anche un business e le ecomamme sono le prime a rendersene conto. «Il marketing si è impossessato del nostro messaggio», dice Jordan Allen di eco-chick.com. «Penso alla catena Gap, che pubblicizza gli abiti che vende sottolineando che vengono da fonti ecosostenibili ecc. In ultima analisi, bisogna consumare di meno». Negli Stati Uniti il momento è cruciale. La recessione sta avendo effetti devastanti e sta costringendo molte persone a ridimensionare il proprio stile di vita. Il prossimo passo? Far uscire l’attivismo dal giardinetto di casa. «Passare dall’azione personale a quella politica », sostiene McKibben autore di The End of Nature. «Molte delle 2000 manifestazioni che ci sono state negli Usa l’anno scorso erano organizzate da mamme nella propria comunità. Insieme hanno contribuito a cambiare la politica energetica di Obama. Il nostro slogan era Screw in the new lightbulb – but then screw in the new senator (Cambia la lampadina ma cambia anche il senatore)». Accadrà anche in Italia? Speriamo, perché almeno questa moda potrebbe trasformarsi in qualcosa di diverso: un azione politica.
Chi prova a mettere in discussione il consumismo verde, diventa subito un moralista ed un guastafeste. In contrapposizione allo scintillante nuovo mondo di aspirazioni biologiche, è costretto a parlare in fastidiose limitazioni uguali per tutti: di razionamento delle emissioni, di contrazione dei consumi, di una regolamentazione più rigida dell´edilizia, di corsie per il pullman sulle autostrade. Su un nessun supplemento a colori troverete mai un articolo che parla di queste cose. Nessuna rockstar potrebbe mai vivere bene con la sua dose razionata di carbonio.