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Malattia e Creatività

Quando ci imbattiamo in un disturbo fisico, un malessere o un disturbo psicologico, in una malattia più o meno grave, è come se si interrompesse il corso normale delle nostre vite, è un problema che blocca in qualche modo l’evoluzione, la crescita, paralizza temporaneamente la nostra capacità di creare. La malattia compromette un equilibrio psico-fisico raggiunto, ma perché? Talvolta essa ci riporta con i piedi per terra, ci costringe a fermarci e a prenderci cura di noi, altre volte sembra un evento perfettamente inutile, noioso o inopportuno.
Per quanto riguarda i disturbi psicologici e i disturbi psicosomatici come l’ansia, la depressione, le fobie, la rabbia, l’insonnia, la psoriasi, il colon irritabile, la cefalea e altre problematiche di origine psichica, si tratta di un vero e proprio campanello d’allarme che ci dice che non siamo in linea con le nostre predisposizioni, che non diamo voce ai nostri bisogni profondi. Il nostro Daimon che ci portiamo appresso dalla nascita, quel piccolo spiritello che abbiamo ricevuto in dono dalle Moire (Platone), portatore del nostro destino, che snocciola lentamente lungo il tempo della nostra esistenza la nostra vera “vocazione”, il nostro segreto, l’essenza della nostra anima che dovremmo e potremmo realizzare in questa vita, ecco quel daimon, si arrabbia e si fa sentire, come se fosse inascoltato, come se continuasse a urlarci la strada da seguire e noi continuassimo ad ignorarlo. Ma il nostro cuore custodisce l’immagine del nostro destino e non si stancherà mai di chiamarci ad esso ( J.Hillman 1996). Quindi i disturbi psichici sono in realtà una vera e propria benedizione, certo un penoso ostacolo da superare, ma grazie al quale potremmo ricontattare il nostro daimon e cambiare completamente il nostro modo di funzionare per vivere in modo più sereno. Per quanto riguarda la malattia fisica alcune teorie sostengono che l’organo colpito abbia comunque qualcosa da comunicarci e che la sua funzione sia stata troppo a lungo trascurata (Nanetti f. 2006) da sviluppare una patologia cronica o degenerativa, questa idea però non è applicabile sempre in modo lineare, alcune malattie, soprattutto quelle letali, sembrano arrivare in modo completamente irrazionale o per cause biologiche, ambientali o comunque diverse da quelle psichiche.
Per questo non è corretto psicologizzare sempre e comunque la malattia a volte essa è semplicemente come un dio, orribile, misterioso e imperscrutabile che ci chiede in sacrificio la vita, contro il quale dobbiamo lottare per riconquistarla o morire in battaglia dignitosamente.
Una delle tante strategie per reagire alla malattia è riaprire la porta della propria creatività. Per creatività non s’intende che tutti dobbiamo diventare artisti, pittori, scrittori, ma mi riferisco ad un atteggiamento psicologico di apertura, che abbandona il vittimismo e che comincia a vedere i problemi come delle opportunità, comincia a vedere quel masso che ostacola il cammino come qualcosa di utile per la propria vita, comincia ad attivare un pensiero che anziché perdersi nel vuoto della disperazione o nell’attacco brutale della rabbia, s’ingegna a trovare il modo per trasformare il dramma in occasione di cambiamento.
Secondo Freud la creatività avrebbe appunto origine da un conflitto psichico, quindi sarebbe un modo nuovo per risolvere un problema, secondo il maestro della psicanalisi, i lavori creativi sarebbero originati da desideri, frustrazioni, disagi che si trasformano in opere d’arte, musica, poesia, del resto i desideri insoddisfatti sono la forza motrice della nostra fantasia.
La creatività oltre ad avere una funzione riparativa e compensatoria molto importante per la persona, nasconde in sé anche un livello più profondo. Jung infatti sosteneva che la creatività avesse anche un aspetto “Visionario” oltre che quello psicologico studiato da Freud. La modalità visionaria nell’uomo sgorga dalle profondità dell’inconscio collettivo e attinge da memorie, simboli e tracce storiche collettive. La straordinaria importanza dell’atto creativo per Jung risiede nel fatto che esso risveglia un archetipo sopito in noi, trascendendo le esperienze della vita dell’individuo e spesso assumendo significati universali che neppure l’artista riesce a spiegare.
La capacità creativa dell’uomo è come una scintilla divina che fa di esso un essere straordinario nella sua peculiarità di creatura e lo collega col tutto.
Certo ognuno ha una sua dimensione creativa e sarebbe un errore ricondurre la nostra forma creativa solo a discipline artistiche, occorre scoprire in quale settore siamo particolarmente dotati e svilupparlo. Potremmo avere talento per gli affari, per la cucina, per la moda, per l’elettronica, un particolare gusto estetico o altro ancora…
A tal proposito Ginette Paris, nel suo libro “Vita interiore” ( 2008) ricorda una donna che aveva una capacità straordinaria di organizzare banchetti, cene, decorare a tale scopo gli ambienti e far sentire le persone a proprio agio durante questi momenti conviviali, quando andò in analisi, stava male, smise di fare tutto ciò e cominciò a dipingere, i suoi quadri non erano un granchè, ma aldilà di ciò, che è irrilevante per la terapia perché l’arte viene usata per trovare dei significati reconditi, il danno fu che smise di organizzare banchetti, finì per canalizzare la sua creatività in un settore per cui non era così naturalmente portata, un vero peccato.
Le persone che hanno un atteggiamento creativo o che sono creative sono in genere più indipendenti, autonome, sensibili, risolute, avventurose con una maggiore capacità di accettare sé stesse (C.A. Malchiodi 2007) ma è dimostrato anche che la creatività correla positivamente con un certo grado di depressione, distimia e di follia. Dallo studio di A. Ludwing che il 73% dei creativi manifestano alterazioni dell’umore, nei poeti in particolar modo nel 87% dei casi ( A. Oliverio 2006). Mentre in un altro studio di J.L. Karlson si è trovato che tra i parenti di primo grado di pazienti psicotici, c’era un’alta percentuale di persone di successo e creative. Questi studi al di là di proporre l’esistenza di basi biologiche della creatività, correlano anche in modo importante la creatività alla malattia mentale.
Quando compare nella vita il disagio allora sembrano chiudersi le porte della creatività e della fantasia, il dolore e lo sgomento diventano un fortino dentro al quale ci barrichiamo con la speranza di vincere la battaglia che ci pone la malattia, il disturbo, il problema di relazione. La malattia è caratterizzata da un profondo mutamento e un intenso malessere psicologico, essa s’impossessa della nostra persona e ci sottrae ogni vitalità, frantuma i nostri sogni, ci deruba della vitalità, spegne il desiderio, sconquassa il nostro mondo e ci pone maledettamente a faccia a faccia con la morte, come diceva Seneca “in ogni malattia ci sono tre cose gravi: la paura della morte, il dolore fisico, l’interruzione dei piaceri” (A. Malliani 2007).
Ecco che all’affacciarsi alla porta della malattia, la psiche si abbatte, perde la sua capacità creativa perché tutto il suo sforzo è vedere una luce oltre il velo nero della morte, così, come espresse egregiamente Vincent Van Gogh nelle sue lettere al fratello Teo “nel disagio ci si sente prigionieri, esclusi dal partecipare ad un opera o all’altra e ciò che è necessario diventa inaccessibile”.
Con la malattia si allarga in noi una ferita, un distacco doloroso tra le nostre potenzialità, i nostri progetti e il destino, che ci frappone un temibile ostacolo il cui superamento ha esito incerto. Ovviamente tale ferita non è ad appannaggio esclusivo della persona che si ammala ma anche di chi l’ama e le sta vicino. Quando si ha un forte legame con un altro individuo si soffre insieme e ci si preoccupa tanto quanto, o forse di più per colui che soffre. La prospettiva del distacco, reale o presunto, per chi ama, è un immagine devastante tanto quanto la malattia.
Ecco che la creatività è il farmaco allopatico di cui avremmo bisogno proprio in questi momenti, cioè avremmo bisogno di forzare i limiti, usare i problemi per creare soluzioni nuove, abbattere le barriere, rifiutare i nostri preconcetti e aprirci al nuovo, permetterci di provare, di sbagliare pur di esprimerci in qualche modo, amplificare l’attenzione a tutto ciò che potremmo trovare al mondo che ci possa aiutare a uscire alla malattia.
La creatività ci aiuta ad esplorare diversi modi di essere, differenti materiali, modificare le immagini della nostra mente e avventurarci verso l’ignoto.
Ma per esprimersi in modo creativo è necessario prima raggiungere una prerogativa essenziale: sentirsi liberi, liberi quel tanto che basta da non preoccuparsi di quello che pensano gli altri, sospendere il giudizio di noi stessi, poiché esso ci aliena, né avere la mania di realizzare qualcosa di giusto, sbagliato, bello o brutto, ciò che conta è liberare le immagini interiori in una forma che ci sia consona, il risultato non conta, ciò che conta è il processo.
Allentando le briglie che ci siamo posti nel tempo, possiamo finalmente lasciarsi condurre dal Flusso Creativo, come lo definiva Mihaly Csikszentmihalyi, uno stato di eccellenza in cui il lavoro e l’ispirazione ci assorbe completamente e finiamo per essere un tutt’uno con i materiali, lo strumento, le idee, le immagini e l’attimo presente.
La psicoterapia serve a sanare questa voragine che si crea tra la passività della malattia e la creatività della guarigione. Il terapeuta accompagna chi sta male verso una nuova dimensione vitale, un nuovo modo di vedere le cose, un modo nuovo di utilizzare le proprie immagini mentali e la possibilità di crearne altre di positive, con le quali si può anche lasciar andare il sintomo, perché esso perde la propria funzione di segnale di allarme, che chiedeva di occuparci, di ascoltare il nostro corpo, le nostre aspirazioni e il nostro demone interiore. In quei casi in cui la gravità della patologia non consente la guarigione, la psicoterapia è ancora più importante, non tanto per guarire quanto per “salvarsi”. Realizzare sé stessi nonostante il male che mi trovo a vivere senza motivo, significa non smettere di portare il nostro vessillo, credere nel significato della nostra esistenza, non arrendersi, non subire passivamente la malattia ma lottare ogni minuto per dar più vita ai giorni e non solo più giorni alla vita. Quando si affievolisce la creatività nelle nostre vite, la malattia, il malessere, prendono il sopravvento sull’anima soffocata, viceversa quando l’anima deborda dagli argini, ci travolge e non riusciamo più a contattare la realtà, la follia, la confusione incedono e la creatività è l’unico mezzo per riportarci a contatto con la materia. I problemi sono quindi importanti per la nostra evoluzione e la creatività è un mezzo straordinario per trasformarli in occasioni.
BIBLIOGRAFIA
Hillman J. “Il codice dell’anima” 1996 ed. Adelphi
Malliani A. “ Sopravviviamo per le tracce che lasciamo” in Mors finis an transitus ED BUR 2007
Malchiodi C.A. “ Arteterapia. L’Arte che cura” 2007 ed GIUNTI
Karlson J.L. “Creative intelligence in relatives of mental patients” in “Hereditas” 100,1984 pp.83-86
Oliverio A. “Come nasce un idea “ 2006 ed. Rizzoli
Paris G. “Vita interiore” 2008 ed. Moretti e Vitali
Platone “Repubblica” a cura di G.Reale e R. Radice, 2009 ed. Bonpiani
V. Van Gogh “150 lettere” ed. lineadombra 2008

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Emanuela Pasin